Le malattie autoinfiammatorie
in età pediatrica: focus sulla
pfapa

L’approccio al bambino con febbre periodica è complesso, anche per l’eterogeneità clinica

correlata a tale condizione. Accanto alle forme geneticamente determinate,
si colloca una frequente condizione multifattoriale: la sindrome PFAPA.

Maria Greca Magnolia1, Elisabetta Cortis2

¹ UOC Pediatria Ospedale
S. Maria della Stella, Orvieto

² UOC Pediatria Ospedale
S. Eugenio, Roma

Caso clinico. Gabriele, 5 anni. Anamnesi familiare: papà con tonsillectomia a 5 anni; nonna di ramo paterno con insufficienza renale cronica. Anamnesi patologica remota e prossima: all’età di 2 anni ricovero per febbre elevata e convulsioni. All’esame obiettivo si evidenziava un quadro di faringite eritemato/essudativa e linfoadenite angolomandibolare. Gli indici di flogosi risultavano elevati. Veniva intrapresa terapia antibiotica, con graduale miglioramento delle condizioni cliniche e defervescenza dopo 4 giorni. Da allora frequenti episodi febbrili, ad alta ricorrenza, che si manifestavano anche nel periodo estivo, trattati sempre con terapia antibiotica a distanza di 48 ore dall’esordio; defervescenza dopo 2, 3 giorni dall’inizio della terapia. Caratteristiche cliniche degli episodi: la febbre, spesso elevata, compare tipicamente ogni 20-30 giorni con benessere nei periodi intercritici, associata a faringite e talvolta ad aftosi del cavo orale e micropoliadenia angolomandibolare e laterocervicale; in una circostanza riferiti lievi dolori addominali; accrescimento e sviluppo psico-fisico nella norma. Esame delle urine e tamponi faringei più volte ripetuti in corso di febbre: negativi. Studio immunitario: nella norma. Indici di flogosi in benessere: nella norma. Nuovo ricovero a 3 anni per febbre e faringite in agosto, mentre era in vacanza al mare. All’età di 4 anni e mezzo episodio febbrile trattato con betametasone per os in prima giornata, con rapida defervescenza.

Descritta per la prima volta in letteratura nel 1988 da Marshall et al., la sindrome PFAPA (Periodic Fever, Apthous stomatits, Pharyngitis and Adenitis) rappresenta la causa più comune di febbre periodica nell’infanzia. Si tratta di una condizione poligenica o multifattoriale caratterizzata da febbre periodica non associata a mutazioni a carico dei geni responsabili delle classiche febbri periodiche monogeniche. Malgrado siano descritti sporadici casi familiari, infatti, una base genetica di tale condizione non è stata ancora dimostrata.1-5

La PFAPA è compresa nell’ambito delle malattie autoinfiammatorie, un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate dalla presenza di un quadro di infiammazione ricorrente secondaria ad una abnorme attivazione delle cellule dell’immunità innata (neutrofili, monociti, macrofagi). Diversamente da ciò che accade per le più comuni malattie autoimmuni, queste condizioni riconoscono un ruolo secondario dell’immunità adattativa (linfociti T e B), come dimostrato da una persistente assenza di autoanticorpi o di cellule T auto-antigene specifiche e da una mancata associazione con HLA di classe II.1,2 Le cellule del sistema immunitario innato (cellule epiteliali e dendritiche, polimorfonucleati, macrofagi) agiscono non soltanto come barriera immediata al processo infiammatorio, ma anche come effettrici nell’evoluzione della risposta infiammatoria, avendo la capacità di riconoscere patterns molecolari associati sia ai patogeni che al danno tessutale; questo processo si esplica attraverso meccanismi complessi, che coinvolgono diverse fasi di ricognizione e reclutamento molecolare e recettoriale, come risultato di differenti mutazioni a carico dei pathways patogenetici.

La condizione di iperattività dell’immunità innata si manifesta per lo più su base monogenica ed è secondaria a mutazioni dei geni che codificano per diverse proteine coinvolte nei meccanismi di regolazione della risposta infiammatoria: si tratta delle malattie autoinfiammatorie “monogeniche” o “ereditarie”. Gli stessi meccanismi potrebbero essere coinvolti in un numero crescente di altre condizioni patologiche identificate come “sindromi autoinfiammatorie multifattoriali”.1-5 La stratificazione dei livelli dei vari meccanismi patogenetici consentirebbe una classificazione dei vari quadri in base a una definizione citochinica. Il tentativo di illustrare un approccio diagnostico ragionato alle più comuni malattie autoinfiammatorie monogeniche e multifattoriali ad esordio pediatrico si esplica attraverso un percorso diagnostico-differenziale basato sui quadri clinici di esordio più caratteristici di tali patologie.




Nell’ambito delle malattie autoinfiammatorie monogeniche diverse sono le condizioni caratterizzate da una disregolazione dei meccanismi dell’immunità innata: difetti nella funzionalità dei recettori intracellulari e nella trasmissione del segnale, accumulo di “trigger” a livello intracellulare, alterazione dei sistemi di disregolazione proinfiammatoria. Alcune condizioni potrebbero pertanto essere assegnate a più di una categoria nell’ambito della classificazione eziopatogenetica. Nel 2006, Mc Dermott e Mc Gonagle stabilirono che i disordini immunologici dovrebbero essere concepiti come un “continuum” tra forme autoinfiammatorie monogeniche e forme autoimmuni monogeniche; in rari casi, il fenotipo clinico è correlato ad immunodeficienza. Ad oggi esiste infatti una chiara evidenza del fatto che le malattie autoinfiammatorie possano avere al contempo una componente adattativa ed autoimmune. Alla base delle forme monogeniche “pure” ci sarebbe un’attivazione del sistema dell’immunità adattativa: un esempio è rappresentato dalla differenziazione delle cellule CD4+ in Th17 nella Cryopyrin-Associated Autoinflammatory Syndromes (CAPS), meccanismo che diminuisce in risposta al blocco dell’IL-1.

L’identificazione di meccanismi molecolari coinvolti nella disregolazione immune della PFAPA ha consentito di contemplare tale quadro nell’ambito dei disordini autoinfiammatori poligenici e multifattoriali, come le osteomieliti croniche non batteriche, l’artrite idiopatica giovanile sistemica e la malattia di Still dell’adulto. Per queste patologie la caratterizzazione genetica è complessa a causa dell’elevata quantità di geni coinvolti.1-5

Ruolo della disregolazione
dell’immunità innata
e dell’attivazione
dell’immunità adattativa

Nella PFAPA, la disregolazione dell’immu-nità innata si caratterizza per la presenza di diversi fattori: il fenotipo clinico, l’aumento delle citochine proinfiammatorie, la neutrofilia, la pronta risposta ai corticosteroidi, la mancata responsività alla terapia antibiotica, la parziale risposta agli agenti che determinano il blocco dell’IL-1 (Figura 1).3,7 Com’è noto, il recettore NOD-like 3 (NLRP3) è in grado di operare un meccanismo di riconoscimento antigenico e di determinare la formazione del complesso “inflammasoma NLRP3”, essenziale per la difesa dalle infezioni e la stimolazione della risposta immunitaria innata, in relazione a patterns molecolari che agiscono sui patogeni intracitoplasmatici e sui meccanismi del danno endoteliale. Contemporaneamente, è in grado di stimolare l’attivazione dei geni coinvolti nell’espressione dei fattori di trascrizione a scopo pro-infiammatorio (come il nuclear factor kB–NFkB). Il complesso “inflammosoma” promuove non solo il reclutamento di NLRP3, ma anche l’attivazione della caspasi 1, una proteasi che determina il clivaggio della pro-IL-1β e della IL-18 e la loro conversione nelle rispettive forme attive. L’IL-1β, sintetizzata dalle cellule dell’immunità innata in risposta a processi infettivi e ad insulti che provocano lesioni tessutali, è in grado di innescare la risposta infiammatoria, inclusa la secrezione di IL-6 a livello epatico. Studi condotti in vivo su cellule mononucleate di sangue periferico (PBMCs) stimolate con LPS e su monociti purificati di pazienti febbrili con PFAPA confermano l’aumentata secrezione cellulare di IL-1β.4 Uno studio condotto utilizzando campioni di sangue intero di pazienti con PFAPA per l’analisi dell’espressività genica dell’mRNA ha mostrato un incremento dei geni correlati all’IL-1, quali IL1B, IL1RN, CASP1 e I18RAP, durante gli episodi febbrili.4 Anche la concentrazione sierica di IL-6 aumenta durante le fasi acute della malattia, così come quella di IL-18, IL-1β, IP-10/CXCL10 (citochina correlata all’IFN-γ), MIG/CXCL9 e MIP-1/CCL4. Secondo tale modello di attivazione citochinica si verificherebbe, in alcuni punti, un’aumentata secrezione di IFN-γ, con conseguente differenziazione a Th1 di cellule T CD4+ durante le fasi acute della malattia. Nella PFAPA, l’IL-18 in presenza di IL-12 induce l’IFN-γ e promuove la risposta a Th1.4,5 Gli episodi febbrili sono caratterizzati dalla presenza di linfopenia; non è chiaro se questo dato risulti da un aumento della mielopoiesi parallelo ad una diminuzione della linfopoiesi (come nell’infiammazione acuta), o se sia la conseguenza di una migrazione dei linfociti verso i tessuti linfoidi (compresi i linfonodi cervicali e le tonsille). Nella PFAPA si manifesta un’alterazione della funzionalità dei neutrofili, in particolare a carico dei processi di apoptosi e di generazione dello stress ossidativo cellulare, meccanismi che tenderebbero a rimanere alterati in particolare durante gli attacchi febbrili. Nello specifico, il ruolo delle tonsille non è stato del tutto chiarito, sebbene si verifichi una chiara risposta clinica alla tonsillectomia: nei soggetti con predisposizione alla PFAPA, infatti, le tonsille potrebbero rappresentare il centro primario della disregolazione immune. Uno studio recente4 ha ipotizzato che il “microbiota” delle tonsille abbia la funzione di “trigger” del processo infiammatorio in base ad alcune caratteristiche peculiari che contraddistinguono i pazienti con PFAPA.

Epidemiologia

Sebbene la PFAPA rappresenti la causa più fre-quente di episodi febbrili ricorrenti in età pediatrica,4,5,8 in letteratura non sono presenti molti dati relativi alla sua reale incidenza. La più grande coorte di pazienti deriva da un database internazionale che riporta un totale di 301 casi, descritti nel 2014 da Hofer et al.8 Una stima certa dell’incidenza annuale giunge dalla Norvegia: 2,3 per 10.000 bambini fino ai 5 anni d’età.4 Nella Svezia occidentale, sono stati circa 300 i bambini con diagnosi di PFAPA nell’arco di 10 anni; tale dato equivale ad un’incidenza di almeno 3 casi ogni 10000 bambini al di sotto dei 5 anni d’età, in analogia a quanto riscontrato in Norvegia.4 In uno studio retrospettivo condotto da Barbi et al. in Friuli Venezia Giulia nel 2001, sono stati rilevati 40 casi di PFAPA durante un periodo osservazionale di 5 anni: l’incidenza approssimativa era di 0,4 casi/1000 bambini/anno, con un nuovo caso diagnosticato di PFAPA per pediatra ogni 1-2 anni.

Generalmente gli episodi febbrili nella PFAPA si manifestano tra i 2 e i 5 anni, con lieve prevalenza per il sesso maschile, senza predilezione per particolari gruppi etnici. In uno studio recente sono stati descritti 17 adulti con diagnosi clinica di PFAPA. In oltre il 40% dei casi riportati è stata rilevata una storia familiare positiva.4

Manifestazioni cliniche

La febbre è l’elemento clinico dominante, con temperatura che tende ad aumentare fino a 40,5°C: è a rapida insorgenza, persiste per 3-7 giorni, va incontro a remissione spontanea. Gli episodi ricorrono con caratteristiche cliniche stereotipate e cadenza regolare nella maggior parte dei pazienti, quasi secondo un meccanismo “a orologeria”; durante il periodo intercritico, compreso tra le 2 e le 8 settimane (solitamente da 3 a 6 settimane), il bambino è completamente asintomatico. Nel tempo le manifestazioni cliniche possono verificarsi con minore intensità. Contrariamente a quanto avviene nelle febbri periodiche monogeniche, i bambini con PFAPA si presentano in buone condizioni cliniche anche durante gli episodi febbrili. Il segno che più frequentemente si associa alla febbre è la faringite eritemato-essudativa (90%), seguita da linfoadenopatia laterocervicale (75%) ed aftosi del cavo orale (50%). Possono coesistere cefalea, dolore addominale, nausea, vomito, brividi, malessere, mialgie, artralgie, manifestazioni cliniche considerate spesso dirimenti.4,5

La regolare ricorrenza degli episodi febbrili, il benessere clinico nel periodo intercritico ed un soddisfacente accrescimento staturo-ponderale rappresentano punti nodali a scopo diagnostico. Sintomi aspecifici come malessere, irritabilità ed astenia sono evidenti in circa un terzo dei pazienti nei giorni che precedono l’episodio febbrile, e i genitori riescono ad interpretarli come veri e propri prodromi, agevolando così la diagnosi differenziale con episodi febbrili secondari a processi infettivi.

Le caratteristiche cliniche della PFAPA negli adulti sono simili a quelle descritte nei bambini, con maggiore frequenza di artralgie e mialgie e minore frequenza di stomatite aftosa. In letteratura ritroviamo un caso di PFAPA con esordio in età adulta associata a glomerulonefrite proliferativa endocapillare, e quello di una paziente di 18 anni con PFAPA associata ad epatite autoimmune di tipo 2: entrambi sono andati incontro a risoluzione del quadro clinico in seguito alla terapia con corticosteroidi.4,5

Diagnosi

La diagnosi è basata sul riconoscimento delle caratteristiche cliniche delineate nel fenotipo classico della malattia; i criteri clinici proposti da Marshall et al. nel 1987, e modificati da Thomas et al. nel 1999, sono illustrati nella tabella 1.1-6




Nell’ambito delle diagnosi differenziali occorre considerare patologie di tipo infettivo (infezioni da Streptococco e adenovirus, infezioni del tratto genitourinario). Caratteristiche tipiche della PFAPA sono: periodicità tra gli episodi, mancata responsività alla terapia antibiotica, pronta risposta alla terapia steroidea, assenza di infezioni in altri membri dello stesso nucleo familiare, negatività degli esami colturali durante gli episodi febbrili. Anamnesi familiare per PFAPA e/o tonsillectomia è molto frequente, quasi secondo un modello che ricalca una modalità di trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta. È importante escludere la neutropenia ciclica, caratterizzata anch’essa da una periodicità fissa tra gli episodi febbrili, per lo più associata a faringite, lesioni aftose del cavo orale, linfoadenopatia, celluliti, foruncolosi. La febbre tende a manifestarsi regolarmente ogni 18-24 giorni; si associa a ulcere del cavo orale profonde e dolenti, che si protraggono anche per una settimana oltre l’episodio febbrile, gengiviti o periodontiti, focolai infettivi (otiti, sinusiti, celluliti) e, talvolta, complicanze più gravi, con scarsa risposta ai corticorticosteroidi. La neutropenia presenta durata di 1-3 giorni, con valore di neutrofili spesso inferiore a 200/mm³ durante l’episodio, e tipico andamento ciclico (nadir ogni 21 giorni nel 70% dei casi, ogni 14-36 giorni nel 30% dei casi). La PFAPA deve essere distinta dalle febbri periodiche monogeniche ed esclusa in tutti i casi in cui siano assenti segni e/o sintomi clinici suggestivi di una febbre periodica ereditaria: episodi febbrili di durata superiore a 7 giorni e/o comparsa di eruzioni cutanee, artrite, dolori addominali di elevata intensità, diarrea, splenomegalia, dolore toracico, ipoacusia, sintomi secondari all’esposizione al freddo.




Le forme autoinfiammatorie hanno generalmente un esordio precoce, anche se la TRAPS e la FMF possono presentarsi più tardi (seconda e terza decade di vita). Una durata molto breve (24-48 h) degli episodi febbrili e la presenza pressoché costante di dolore addominale intenso, associato o meno a dolore toracico, devono orientare per una FMF. Talvolta è presente un’artrite molto dolorosa, che si risolve alla fine dell’episodio febbrile. Episodi più lunghi (4-7 giorni) associati a marcata astenia, linfoadenomegalia, splenomegalia, dolori addominali, vomito, diarrea, devono far porre il sospetto diagnostico di una sindrome da IperIgD. La determinazione dell’acido mevalonico nelle urine raccolte al momento del picco febbrile rappresenta un buon test di screening. Nella “receptor associated periodic syndrome” (TRAPS), gli episodi febbrili hanno durata superiore a 7 giorni (fino a 3 settimane); l’edema periorbitale, associato o meno a congiuntivite ed algie oculari, e una dolorosa fascite rappresentano due manifestazioni peculiari di questa forma.5 Di recente, il gruppo di studio Eurofever ha proposto una serie di criteri classificativi per febbri ricorrenti e PFAPA, dotati di elevata sensibilità e specificità (Tabella 2).9 Come definito dall’American College of Rheumatology, i nuovi criteri derivano dalla combinazione di variabili genetiche e cliniche, volta a superare il paradosso dell’assenza di significatività da parte dell’analisi molecolare nella corretta identificazione dei pazienti affetti da queste condizioni genetiche.9 Tuttavia, sebbene questi criteri possano rivelarsi utili nella pratica clinica, il loro impiego come criteri puramente diagnostici di malattia è limitato. Un set di criteri basati esclusivamente su variabili cliniche è stato selezionato come strumento utile per porre indicazione all’analisi molecolare o come insieme di criteri classificativi nel caso in cui i test genetici non siano prontamente disponibili. Per la PFAPA, la valutazione delle variabili cliniche considerate ha consentito un approccio caratterizzato da maggiore specificità rispetto ai criteri di Marshall.6,9

Al fine di rendere più agevole l’identificazione di una febbre periodica monogenica, presso l’Istituto “Gaslini” è stato creato uno score diagnostico in grado di predire il rischio che un bambino con febbre periodica sia portatore di mutazioni a carico del gene MEFV, MVK o TNFRSF1A. Tale score è disponibile sul sito www.printo.it/periodicfever.

Biomarker nella PFAPA

Gli episodi di PFAPA si caratterizzano per un aumento significativo degli indici di flogosi, compresa la Proteina C reattiva (PCR) e la Sieroamiloide A (SAA). Quest’ultima in particolare rappresenta un indice favorevole nella gestione del bambino con patologia autotinfiammatoria per diversi motivi: consente di valutare l’entità del processo flogistico durante gli attacchi acuti rilevando al contempo anche livelli bassi di infiammazione; è utile nel monitorare la risposta al trattamento con farmaci antinfiammatori; è un indice affidabile del rischio di sviluppare amiloidosi renale. Nella PFAPA, sia la PCR che la SAA tendono a normalizzarsi tra gli episodi febbrili, mentre in altre forme autoinfiammatorie come la FMF il valore della SAA tende a permanere elevato anche tra durante l’intervallo tra i vari episodi.4

La procalcitonina non è elevata durante gli episodi febbrili, in analogia a quanto avviene nella FMF, per cui presenta limitato impiego. Durante gli episodi febbrili si verifica un aumento delle calgranuline S100A8, S100A9 e S100A12, membri della famiglia S100 in grado di stimolare la chemiotassi dei neutrofili nei siti infiammatori. Tuttavia, elevati livelli di proteine S100 sono stati osservati anche nei bambini affetti da FMF e da AIG sistemica. Non è stato rilevato un aumento significativo dell’immunomodulatore galectina 3, in contrasto a quanto accade nella FMF, che si caratterizza per un incremento di tale sostanza durante le fasi afebbrili, come avviene per altre malattie come il Lupus eritematoso sistemico, l’artrite idiopatica giovanile, la malattia di Behçet, la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. Pertanto, potrebbe essere utilizzata come elemento utile nella diagnosi differenziale, in particolare per quei bambini provenienti da regioni con un’elevata prevalenza di FMF.4

Terapia degli episodi acuti,
profilassi delle recidive,

follow-up a lungo termine

Diversi studi testimoniano che i corticosteroidi sono in grado di determinare un brusco calo della temperatura corporea, sebbene possano causare una riduzione degli intervalli tra le manifestazioni cliniche in una percentuale significativa di bambini (25-50%).6 Una singola dose orale di prednisone (1-2 mg/kg) o di betametasone (0,1-0,2 mg/kg), somministrata all’inizio dell’episodio febbrile, si è rivelata risolutiva nell’85-95% dei casi, come confermato dai dati del registro Eurofever (risposta clinica efficace nel 90% dei casi).6 La stomatite aftosa, tuttavia, può richiedere un arco di tempo maggiore per andare incontro a risoluzione. Se una dose singola di steroide non è efficace nell’indurre la scomparsa dei sintomi, una seconda dose può essere somministrata il giorno successivo. La risposta agli steroidi può essere utilizzata come criterio aggiuntivo per la diagnosi: è utile nel distinguere gli attacchi di PFAPA dagli episodi febbrili di altre sindromi periodiche ereditarie, che di solito non mostrano una risposta efficace ad una singola dose terapeutica (ad eccezione della MKD). Wurster et al. nel 201110 hanno descritto una coorte di 60 pazienti, 44 dei quali trattati con steroidi durante gli episodi: di questi, 37 (84%) erano responsivi al trattamento. Tasher et al. nel 200610 hanno documentato che una singola dose di Prednisone a basso dosaggio (circa 0,6 mg/kg/die) è risultata efficace nel risolvere rapidamente l’episodio febbrile entro una media di 10 ore in 51 dei 54 pazienti con PFAPA descritti nel loro studio.

La cimetidina, antagonista del recettore H2 dell’istamina, in passato è stata utilizzata nella profilassi degli episodi febbrili. Tuttavia, al dosaggio di 150 mg per una o due volte al giorno, può indurre la remissione della malattia solo nel 27–44% dei casi.10

La colchicina, farmaco di prima scelta nella FMF, si è determinata efficace in termini di incremento della durata dell’intervallo tra gli episodi di PFAPA. Può essere utilizzata per la prevenzione delle recidive degli attacchi febbrili (soprattutto se la somministrazione di Steroide tende a diminuire la durata dell’intervallo tra gli episodi), nelle forme che non vanno incontro a risoluzione dopo la tonsillectomia o nei bambini che presentano prevalentemente stomatite aftosa. Il razionale dell’utilizzo della colchicina si basa principalmente sulle somiglianze tra FMF e PFAPA e sull’esperienza del trattamento a lungo termine nella FMF. Tutti i pazienti con sospetta PFAPA responsivi alla Colchicina dovrebbero essere sottoposti ad indagini finalizzate ad escludere una FMF. In uno studio randomizzato, controllato, della durata di 6 mesi, condotto nel 2016 da Aviel et al.,10 è stato mostrato un significativo aumento della durata degli intervalli di benessere tra un episodio febbrile e l’altro in 8 pazienti con PFAPA in terapia con colchicina, rispetto a 10 pazienti trattati con steroidi. Di questi 18 pazienti, 8 erano portatori di mutazione per FMF: 6 nel gruppo in trattamento con Colchicina e 2 nel gruppo in trattamento con steroidi. Nel 2016 Dusser et al. hanno condotto un’indagine retrospettiva, multicentrica, estesa a 20 pazienti con PFAPA in trattamento con colchicina.10 La metà dei pazienti era eterozigote per una mutazione del gene MEFV. Dei 20 pazienti, 9 hanno visto una notevole riduzione degli episodi febbrili dopo il trattamento con colchicina.

I pazienti con PFAPA allo stato eterozigote per la mutazione MEFV potrebbero rispondere positivamente a questo farmaco, ma differenze in termini di risposta clinica tra portatori e non portatori della mutazione MEFV non sono state finora dimostrate.

La tonsillectomia è risolutiva nell’80-90% dei casi, come dimostrato recentemente da trials randomizzati e da metanalisi, anche in assenza di una chiara correlazione fisiopatologica. Vengono riportati benefici in termini di risoluzione immediata della sintomatologia e sostanziale riduzione della frequenza, della durata e della gravità degli episodi tipici, con notevole miglioramento della qualità di vita del bambino e della sua famiglia.6 Garavello et al. nel 200910 hanno effettuato uno studio prospettico randomizzato controllato su 39 pazienti affetti da PFAPA: 19 sottoposti a tonsillectomia e 20 trattati con terapia medica. Sei mesi dopo l’intervento chirurgico, è stata osservata la risoluzione degli episodi febbrili in 12 casi (63%); la risoluzione completa degli episodi è avvenuta complessivamente in un anno. Nel 2012, uno studio prospettico di Licameli et al.10 ha valutato l’efficacia a lungo termine della adenotonsillectomia in 102 pazienti con PFAPA seguiti per più di 6 mesi dopo l’intervento: 99 pazienti sono andati incontro a risoluzione completa subito dopo l’intervento chirurgico, un paziente dopo 6 mesi. Considerando l’evoluzione favorevole della PFAPA e le possibili complicanze post-chirurgiche, la tonsillectomia dovrebbe essere proposta a pazienti selezionati: quando si verifica scarsa risposta al trattamento medico, o quando i sintomi influenzano in maniera evidente la qualità di vita, o quando gli intervalli tra gli attacchi sono troppo brevi per cui lo steroide orale risulta inappropriato. Non è stato ancora dimostrato se l’intervento combinato di adenotonsillectomia possa migliorare l’evoluzione della sintomatologia clinica.

Nuove prospettive terapeutiche

Com’è noto, durante gli episodi febbrili si verifica una iperespressività di geni correlati alle frazioni del complemento C1QB, C2, SERPING1, di geni correlati all’IL-1 (IL-1B, IL-1RN, CASP1, IL18RAP) e indotti da IFN (AIM2, IP-10 / CXCL10), mentre i processi di trascrizione associati a cellule T CD3 e CD8B risultano down-regolati.

A livello proteico, gli episodi acuti si accompagnano a un significativo aumento dei livelli di chemochine per linfociti T attivati (IP-10 / CXCL10, MIG / CXCL9), G-CSF e citochine proinfiammatorie (IL-18, IL-6). La conta dei linfociti T CD4+/CD25+ attivati è correlata negativamente con le concentrazioni sieriche di IP-10/CXCL10, mentre il numero dei linfociti T CD4-/HLA-DR+ è correlato positivamente con le concentrazioni sieriche di antagonisti del recettore per l’IL-1.7

Alla luce dei dati che confermano un’attivazione del complemento e del sistema IL-1β/-18 durante gli episodi acuti, con induzione di chemochine Th1 e successiva ritenzione di cellule T attivate nei tessuti periferici, si fa strada l’ipotesi che l’inibizione dell’IL-1 possa rivelarsi utile nel trattamento dei pazienti con PFAPA, utilizzando, al contempo, il complesso IP-10/CXCL10 come potenziale biomarcatore. La forte correlazione inversa tra IP-10 / CXCL10 e cellule T CD4 +/CD25 + durante gli episodi febbrili, associata a una linfopenia relativa, determina il reclutamento di linfociti T attivati a livello dei tessuti periferici infiammati, come adenoidi e linfonodi.

Secondo uno studio condotto su una piccola coorte di 5 bambini con PFAPA una singola dose di anakinra, somministrata il secondo giorno di febbre, avrebbe notevolmente migliorato il quadro clinico e i parametri di laboratorio.

Nel 2012 Cantarini et al. hanno descritto il caso di un paziente di 27 anni resistente a Corticosteroidi, Colchicina e tonsillectomia, successivamente trattato con anakinra per via sottocutanea, con risoluzione completa degli episodi febbrili. Inoltre, dimostrarono l’efficacia del canakinumab, anticorpo monoclonale umano che si lega ad alta affinità all’IL-1β, in un paziente adulto precedentemente trattato con anakinra, senza successo.

Nell’ambito dei farmaci immunostimolanti, il pidotimod, prodotto di sintesi ad attività timomimetica, up-regola l’espressione dell’HLA-DR e di molecole di co-stimolazione, induce la maturazione delle cellule dendritiche e la differenziazione dei linfociti T verso un fenotipo Th1 e promuove l’attività fagocitica dei neutrofili.

Lo Streptococcus salivarius K12 è un probiotico in grado di rilasciare due lantibiotici (salivaricina A2 e B) che antagonizzano la crescita di molti streptococchi patogeni orali. La somministrazione per 90 giorni del ceppo K12 riduce i segni clinici della PFAPA. Uno studio condotto nel 2015 da Buongiorno et al. su 37 bambini con PFAPA ha proposto l’utilizzo del Pidotimod in combinazione con lo Streptococcus salivarius nella prevenzione delle riacutizzazioni: il 10,8% ha mostrato una risposta completa e il 67,5% una risposta parziale. Un altro studio condotto su 4 bambini con PFAPA ha dimostrato l’assenza di episodi tipici in 3 bambini durante i 3 mesi di trattamento con il solo probiotico.

Nel 2013 Mahamid et al. hanno trovato una correlazione significativa tra PFAPA e carenza di vitamina D, dimostrando una differenza significativa tra livelli di vitamina D tra 22 pazienti con PFAPA e 20 soggetti controllo.10 L’anno successivo, Stagi et al. hanno confermato questo risultato dimostrando una significativa riduzione del numero di episodi febbrili e un accorciamento della durata media degli episodi dopo supplementazione di vitamina D.10 Sono necessari ulteriori studi prospettici e controllati per stabilire definitivamente la validità di queste osservazioni preliminari.

Prognosi

La prognosi è generalmente buona: gli episodi febbrili tendono a divenire meno frequenti con il passare del tempo e a risolversi prima dei 10 anni di età in oltre l’80% dei bambini. Malgrado siano descritti casi in cui il quadro si mantiene per un maggior numero di anni, tale condizione non tende alla cronicizzazione e non è gravata da complicanze a lungo termine. Tuttavia, un aspetto importante da sottolineare è che la malattia influenza notevolmente la qualità di vita del bambino e della sua famiglia nel suo complesso, fintanto che gli episodi persistono ●

Le autrici dichiarano di non avere
alcun conflitto di interesse.

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