Il contributo dei lettori

Marco Giussani

a nome del Gruppo di Studio Ipertensione e Rischio Cardiovascolare della Società Italiana di Pediatria

Sull’ipertensione arteriosa

Sul secondo numero dell’anno della rivista Area Pediatrica è comparso l’articolo “L’ipertensione arteriosa: l’importanza della diagnosi” (Guarino S, et al., vol. 25, n. 2, pp. 62-9). Il nostro Gruppo di Studio Ipertensione e Rischio Cardiovascolare (GSIPeRC) vede con molto favore che si tratti dell’argomento e di questo ringrazia la rivista e gli estensori dell’articolo, perché il tema dell’ipertensione e, più in generale, della prevenzione cardiovascolare a partire dall’età infantile è ancora troppo trascurato dai pediatri. Vorremmo condividere un paio di precisazioni, la prima riguarda i valori soglia per la diagnosi di ipertensione arteriosa, la seconda l’uso del monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore (ABPM).

Per quanto riguarda la prima precisazione, gli estensori dell’articolo sposano completamente il punto di vista dell’American Academy of Pediatrics delle linee guida pubblicate nel 2017, che propongono due sostanziali cambiamenti rispetto precedenti riferimenti del 4° report del 2004: l’eliminazione dal data base di riferimento dei valori pressori dei soggetti in eccesso di peso (in questo modo abbassando i valori soglia) e che, a partire dalla età di 13 anni, non venisse più utilizzato il limite del 95° percentile per definire la condizione di ipertensione ma che fosse sostituito con il cut off fisso di 130/80 mmHg valido per tutti, indipendentemente dal sesso e dalla statura. La Società Europea dell’Ipertensione Arteriosa (ESH) e la Società Europea di Cardiologia (ESC) in successivi position paper hanno rifiutato questo approccio sul cut off fisso a 13 anni, mentre sui valori di riferimento depurati dell’apporto dei soggetti in eccesso di peso ci sono state posizioni differenti. Inoltre, in un documento comune redatto dalla Società Italiana di Pediatria e dalla Società Italiana dell’Ipertensione arteriosa si consigliava di utilizzare il valore soglia fisso dell’adulto (peraltro in Europa più alto rispetto a quello proposto dalle linee guida USA) solo a partire dai 16 anni di età. In conclusione, poiché il data base di riferimento è stato costruito con diverse ricerche risalenti a molti anni fa in cui la prevalenza di bambini in eccesso di peso era molto inferiore a quella odierna, le differenze tra i valori del data base del 4° report del 2004 e quelli del 2017 sono contenute e per il clinico fanno una scarsa differenza (ma non è così per gli studi epidemiologici). Poiché il limite fisso espresso in mmHg a 13 anni in Europa non dovrebbe essere considerato valido e la sua applicazione, dal punto di vista pratico, determina molta confusione in quanto crea differenti classificazioni: da ipertesi a normotesi (o portatori di pressione elevata) oppure viceversa in un numero non indifferente di soggetti al compimento del loro tredicesimo anno.

Per quanto attiene all’ABPM bisogna sottolineare che questo esame non può essere considerato un “gold standard” nel bambino per la carenza di specifici valori di riferimento. I valori normativi di questo esame sono ricavati da un unico lavoro tedesco che ha compreso 949 soggetti di età compresa tra 5 e 20 anni. Quindi, una volta che il numero di rilevazioni che costituiscono il data base è distribuito per sesso e per fascia di età o di statura, i numeri diventano veramente esigui, cioè poche decine per ciascuna classe di sesso e di età (o di statura). Senza tenere conto delle difficoltà che si possono incontrare per accedere a un monitoraggio eseguito e letto in modo adeguato per il bambino, i problemi di carenza di valori di riferimento per l’ABPM lasciano molte incertezze e fanno sì che questo esame non possa costituire uno spartiacque nella diagnosi di ipertensione nel bambino. Certamente, in mani esperte, l’ABPM può dare informazioni utili, ma non può essere considerato diagnostico come invece viene sottolineato nell’articolo e nella flow chart di Area Pediatrica. La diagnosi di ipertensione deve essere fatta con ripetute misurazioni nell’ambulatorio del pediatra, nei casi in cui le prime rilevazioni risultino elevate. Ne consegue che un’applicazione acritica dell’ABPM potrebbe portare a errori nella diagnosi.



Controversie nella gestione dell’ipertensione arteriosa in età pediatrica

Renato Vitiello

Componente Board editoriale Area Pediatrica

Ringraziamo il Dott. Giussani per il costruttivo dibattito in quanto sicuramente sarà utile per il lettore per comprendere che nel campo dell’ipertensione, spesso, non si ritrovano verità o evidenze assolute e che molti degli approcci sono basati sul parere degli esperti.

Il Dott. Giussani sottolinea il fatto che, seppure italiani, abbiamo identificato come riferimento le linee guida dell’American Academy of Pediatrics1 rispetto a quelle europee2 e al position paper della SIP e della SIIA.3 Come ben noto in diversi ambiti, si sviluppano continuamente raccomandazioni o linee guida per cercare di “contestualizzare” la gestione del problema clinico fornendo gli elementi più consoni alle diverse aree geografiche. La nostra scelta, che si riversa anche nella nostra pratica clinica quotidiana, è ricaduta sulle linee guida americane perché più vicine al nostro modo di pensare e di approcciare al problema e perché abbiamo molto apprezzato l’eliminazione dal database di riferimento dei valori pressori dei soggetti in eccesso di peso (in questo modo abbassando i valori soglia). Infatti, se è vero che il tasso di obesità in età pediatrica è in costante aumento e che da un punto di vista statistico medie, percentili e deviazioni standard si calcolano sulla globalità della popolazione, è altrettanto vero che, in quanto pediatri, non possiamo accettare l’obesità infantile come normalità, “disconoscendone” così la natura intrinseca di patologia e non possiamo considerare quindi come valori pressori normali quelli derivanti dall’inserimento dei pazienti con obesità nel computo generale.

Un ulteriore spunto di riflessione nasce dall’osservazione, relativa alla mancata adozione a partire dalla età di 13 anni, del limite del 95° percentile per definire la condizione di ipertensione e dall’utilizzo del cut off fisso di 130/80 mmHg valido per tutti, indipendentemente dal sesso e dalla statura. Tale decisione nasce dalla volontà di semplificare l’approccio e selezionare rapidamente sul territorio i pazienti meritevoli di valutazione specialistica. Sicuramente dal punto di vista epidemiologico la vostra osservazione è valida, ma il nostro obiettivo è quello di fornire indicazioni pratiche, rapidamente fruibili ed utili per la pratica clinica quotidiana, spesso molto densa.

Infine, l’ultima riflessione riguarda il ruolo del monitoraggio ambulatoriale delle 24 ore (ABPM). Vengono criticati i criteri con cui sono stati costruiti i percentili dell’ABPM perché ricavati da un unico lavoro tedesco che ha compreso 949 soggetti di età compresa tra 5 e 20 anni e con esiguo numero di pazienti se stratificati per età.4 Concordiamo sul fatto che ci possano essere difficoltà ad accedere a un ABPM eseguito e letto in modo adeguato per il bambino e che i problemi di carenza di valori di riferimento per l’ABPM possano lasciare molte incertezze, ma è altresì vero che nelle mani esperte dei centri di riferimento, l’ABPM fornisce gli elementi per poter sospettare almeno due categorie di ipertensione arteriosa (Ipertensione da camice bianco ed ipertensione mascherata) diversamente non diagnosticabili. A tale proposito, anche il Consensus Panel dell’ESC, pur riconoscendone i limiti nell’interpretazione legati principalmente alla mancanza di valori di riferimento pediatrici, sottolinea l’utilità dell’ABPM (interpretato presso i centri specializzati) quale strumento prezioso per la diagnosi di determinate categorie di ipertensione altrimenti misdiagnosticate quali, tra le altre, l’ipertensione da camice bianco e l’ipertensione mascherata.2

L’importanza dell’ABPM, inoltre, è da riconoscersi altresì nella sua ben documentata correlazione con il danno d’organo anche in età pediatrica. Pertanto, il nostro ruolo non può non garantire l’identificazione precoce di questa popolazione a rischio.5,6

Questo dibattito, a nostro avviso molto costruttivo, deve spingerci ad un’attività scientifica tesa alla creazione di cut-off -sia per la misurazione office sia per l’ABPM- quanto meno possibile soggetta a bias, al fine di identificare e classificare precocemente i bambini con ipertensione arteriosa e ridurre, di conseguenza, la mortalità per malattie cardiovascolari.