Obesità in età pediatrica: dalla a alla terapia




La prevenzione dell’obesità rappresenta un obiettivo prioritario di salute pubblica, e l’approccio multifattoriale (dieta combinata a attività fisica e supporto psicologico) costituisce il cardine della terapia dell’obesità infantile.

Maria Rosaria Licenziati1, Nicola Improda2,3, Maria Elisabeth Street4, Malgorzata Wasniewska5, Riccardo Bonfanti6, Valentino Cherubini7, Felice Citriniti8, Giuseppe d’Annunzio9, Mariacarolina Salerno3

1 UOSD Malattie Neuroendocrine, Centro Obesità, Dipartimento di Neuroscienze, AORN Santobono Pausilipon, Napoli

2 UOC Pronto Soccorso, Dipartimento di Emergenza, AORN Santobono Pausilipon, Napoli

3 UOS Endocrinologia Pediatrica, Dipartimento di Medicina Traslazionale, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

4 Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Parma e Clinica Pediatrica, AOU di Parma, Parma

5 UOC Pediatria AOU. Policlinico “G. Martino”, Dipartimento di Patologia Umana dell’adulto e dell’età evolutiva “Gaetano Barresi”, Università degli studi di Messina, Messina

6 Diabetologia Pediatrica, Diabetes Research Institute, IRCCS Ospedale San Raffaele e Università Vita Salute San Raffaele, Milano

7 SOD Diabetologia pediatrica, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria delle Marche, Ancona

8 Dipartimento di Pediatria, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Renato Dulbecco”, Catanzaro

9 UOC Clinica Pediatrica ed Endocrinologia, Centro di Alta Specialità in Diabetologia Pediatrica, IRCCS Istituto Giannina Gaslini, Genova

mrlicenziati@gmail.com

L’obesità pediatrica rappresenta un problema rilevante di salute pubblica, per l’elevata prevalenza, per la persistenza in età adulta e per le complicanze fisiche e psicosociali già presenti in età pediatrica che tendono a persistere ed aggravarsi in età adulta riducendo l’aspettativa di vita e gravando sulla spesa sanitaria. Pertanto, obiettivo prioritario del pediatra è prevenirla e trattarla precocemente.

Definizione ed eziopatogenesi

Il sovrappeso e l’obesità dipendono da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, derivante da uno squilibrio tra spesa energetica ed introito calorico a favore di quest’ultimo. L’obesità deve essere considerata una malattia cronica complessa, influenzata da fattori genetici, nutrizionali, comportamentali, sociali e ambientali, spesso strettamente connessi tra loro.1 Le cause ambientali hanno sicuramente un ruolo centrale nel determinismo della cosiddetta obesità primitiva; tuttavia, in circa il 10% dei casi l’obesità può essere secondaria a patologie genetiche, endocrine, ipotalamiche, oppure dipendere dall’assunzione di farmaci. Le cause di obesità genetiche o endocrine sono riassunte in tabella 1.




I criteri che possono orientare verso una obesità secondaria sono la precocità dell’esordio (<5 anni), la rapida evolutività, la presenza di note dismorfiche, la ridotta crescita staturale, la presenza di ritardo mentale e/o alterazioni degli organi di senso.1-3

Lesioni organiche (neoplastiche, ischemiche, infettive o iatrogene) e difetti genetici a carico della regione ipotalamo-ipofisaria (ove risiede il centro che regola fame e sazietà) possono determinare obesità tipicamente associata a condotte iperfagiche.2,3 I farmaci che più frequentemente possono determinare obesità se assunti per periodi prolungati sono: corticosteroidi, valproato di sodio, risperidone, fenotiazine e ciproeptadina.

Già in età pediatrica l’obesità associa numerose complicanze di carattere fisico e psicosociale, che si presentano in maniera tanto più grave quanto più precoce è l’esordio dell’obesità ed il grado di eccesso ponderale. Le complicanze metaboliche sono prediabete fino a diabete mellito di tipo 2, dislipidemia, ipertensione arteriosa, steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e sono strettamente legate all’insulino-resistenza (IR). L’IR è l’incapacità di determinati livelli di insulina di indurre una adeguata utilizzazione di glucosio in periferia e di sopprimere adeguatamente la produzione epatica di glucosio. L’infiammazione e la deposizione ectopica di grasso sono i fattori che principalmente contribuiscono all’IR. L’IR a livello epatico determina ridotta capacità dell’insulina di sopprimere la sintesi epatica di glucosio responsabile, pertanto, di alterata glicemia a digiuno e di mancata lipogenesi e conseguente aumento di acidi grassi liberi (FFA) responsabili di steatosi epatica non alcolica (NAFLD). L’IR a livello del tessuto adiposo è responsabile di aumento della lipolisi ed eccessivo rilascio di FFA. A livello muscolare, infine, l’IR determina una ridotta captazione e utilizzazione del glucosio postprandiale tramite l’inibizione dei trasportatori GLUT4 e GLUT1 e quindi di intolleranza al glucosio. L’iperinsulinemia compensatoria può determinare un aumento dell’attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, con aumentato riassorbimento del sodio e riduzione di ossido nitrico, contribuendo in tal modo all’ipertensione arteriosa.

Inoltre, l’obesità comporta un aumento compensatorio del TSH, iperproduzione di androgeni ovarici nelle ragazze, riduzione del testosterone nei maschi, ridotte concentrazioni di vitamina D e ridotta risposta del GH a stimolo farmacologico.1 Altre possibili complicanze non metaboliche dell’obesità infantile sono rappresentate da problemi osteo-articolari (epifisiolisi, tibia vara, ginocchio valgo, piede piatto), problemi respiratori (apnee notturne, asma bronchiale, sindrome obesità-ipoventilazione), ipertensione endocranica benigna e rischio psico-sociale (ridotta autostima, disturbo dell’immagine corporea, sintomi ansiosi e depressivi, stigma legato al peso, relazioni sociali disfunzionali e insuccesso scolastico).2

I bambini e adolescenti obesi hanno un rischio aumentato di diventare adulti obesi. Si stima che oltre il 50% dei bambini obesi e dal 70% all’80% degli adolescenti obesi diventeranno adulti obesi.4,5 I risultati di una recente metanalisi hanno mostrato che l’indice di massa corporea (BMI) in età pediatrica si associa con un’aumentata incidenza in età adulta di diabete, patologia coronarica e cancro, con un impatto rilevante sulla mortalità complessiva della popolazione.3 Pertanto, la prevenzione e il trattamento precoce dell’obesità infantile, prima dello sviluppo di complicanze, costituiscono obiettivi prioritari di salute pubblica.

Epidemiologia

Dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) documentano che in Europa un bambino su 3 è sovrappeso o obeso.6 L’Italia è una delle nazioni europee con i tassi più elevati di obesità infantile. In Italia i dati della sorveglianza nazionale OKkio alla Salute 2019,7 su 50 000 bambini della terza elementare (8-9 anni di età), riportano una prevalenza di sovrappeso/obesità intorno al 30% (3 bambini su 10) di cui 20,4% sovrappeso, 9,4% obesi (di cui 2,4% con obesità grave). Si evidenzia un chiaro trend geografico che vede le Regioni del Sud avere valori più elevati di eccesso ponderale in entrambi i generi. Infine, come osservato anche in altre nazioni del nord Europa, la prevalenza più alta di obesità si riscontra nelle classi socioeconomiche più svantaggiate e tra i bambini che hanno ricevuto latte materno per meno di 1 mese.7




Diagnosi

Considerate le difficoltà tecniche nel misurare direttamente in grasso corporeo, nella pratica clinica la diagnosi di obesità viene posta sulla base del BMI, calcolato come rapporto tra il peso espresso in kg e il quadrato dell’altezza (espressa in metri) (kg/m2). Infatti, sebbene non consenta una buona distinzione tra massa magra e massa grassa, tale parametro è di facile determinazione e per la maggior parte dei soggetti in età pediatrica fornisce una stima sufficientemente accurata del grado di adiposità.3,8,9 A differenza della popolazione adulta, in età evolutiva la composizione corporea e il peso variano con l’età in maniera differente a seconda del sesso considerato. Pertanto, è necessario utilizzare percentili di riferimento di peso, lunghezza e BMI per definire se un soggetto è normopeso, sovrappeso o obeso. In accordo con la Consensus prodotta da Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) e la Società Italiana di Pediatria (SIP),8,9 nel bambino fino a 24 mesi la diagnosi di eccesso di peso si basa sul rapporto peso/lunghezza, utilizzando le curve di riferimento dell’OMS 2006, mentre nelle età successive si basa sull’uso del BMI, utilizzando le curve di riferimento OMS 2006 fino a 5 anni e dell’OMS 2007 nelle età successive. Per i criteri diagnostici di obesità e sovrappeso in età pediatrica vedi tabella 2.




Prevenzione

La prevenzione dell’obesità in età pediatrica è un obiettivo strategico di salute pubblica, in quanto consente di ridurre i costi che il Sistema Sanitario Nazionale deve sostenere per la cura delle patologie croniche secondarie all’obesità in età adulta. Considerata l’eziologia multifattoriale, gli interventi preventivi devono essere rivolti a tutti i possibili fattori modificabili ambientali e sociali, al fine di contrastare i comportamenti disfunzionali nei confronti del cibo e dell’attività fisica che conducono ad un aumento della massa adiposa.8,9

La prevenzione dell’obesità deve iniziare fin dal periodo prenatale. Infatti, stili di vita poco salutari in gravidanza, quali eccessivo incremento di peso o fumo di tabacco possono avere un’influenza negativa sul peso alla nascita e sul rischio di sviluppare obesità infantile.9 Questo concetto è stato anche ripreso nel progetto multiregionale coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per la promozione della salute del bambino nei primi 1 000 giorni (dal concepimento ai primi 2 anni di vita).

È fondamentale che vengano coinvolti nella prevenzione gli ambienti in cui il bambino si sviluppa e viene educato, ossia la famiglia e la scuola.8,9 Tuttavia, una prevenzione efficace prevede azioni su molteplici livelli, coinvolgendo anche gli organi politici, le aziende sanitarie e altri enti comunitari (amministrazione comunale, consultori familiari, associazioni sportive, associazioni di produttori e distributori di alimenti, ditte di ristorazione collettiva, ecc.). Un ruolo fondamentale spetta ai pediatri, specialmente i pediatri di famiglia, che devono promuovere gli stili di vita salutari, al fine di prevenire l’obesità nei soggetti normopeso, nonché identificare precocemente e indirizzare al trattamento i bambini o adolescenti che sviluppano sovrappeso o obesità.

Le strategie di prevenzione vengono indicate in appendice.

Obiettivi del trattamento

L’obiettivo generale del trattamento è raggiungere un BMI <85°percentile.

Al fine di eliminare l’influenza di età e sesso durante il monitoraggio del tratt amento è preferibile che il BMI venga espresso come z score nella valutazione di tale parametro. È ritenuta ottimale una riduzione del BMI z-score >0,5 nel primo anno di trattamento, in quanto correlata a miglioramento consistente della composizione corporea e del rischio cardiovascolare e inferiore alle 2 deviazioni standard nel secondo anno di trattamento.3,8,10

Nei bambini di età inferiore ai 5 anni, non è generalmente raccomandato un calo ponderale, ma ci si può limitare a mantenere il peso costante (se obeso) o limitarne l’incremento (se sovrappeso), sfruttando la crescita staturale sostenuta tipica di quest’epoca della vita.

Il bambino va comunque valutato nel complesso, tenendo conto oltre che del BMI del cambiamento di atteggiamento nei confronti di alimentazione e attività fisica, della qualità di vita, della quota di grasso viscerale (stimabile attraverso misurazione della circonferenza vita o del rapporto vita/altezza).8 Infine, vanno monitorati e identificati precocemente eventuali segni suggestivi di disturbi della condotta alimentare.3,8

Trattamento

Approccio multidisciplinare non farmacologico

L’intervento dietetico rappresenta il cardine del trattamento dell’obesità. Tuttavia, l’efficacia nell’indurre il dimagrimento aumenta quando esso viene attuato in associazione con esercizio fisico e terapie comportamentali e in un contesto multidisciplinare. Tale approccio è efficace soprattutto nei bambini, mentre mostra efficacia minore negli adolescenti per una scarsa aderenza e ridotta influenza delle figure genitoriali, in particolare in presenza di obesità severa.9 Questi dati sottolineano l’importanza di un intervento precoce.

Dieta. I bambini sovrappeso e/o obesi e le loro famiglie devono essere incoraggiati e guidati nel modificare la propria dieta riducendo le calorie e bilanciando in modo salutare l’apporto di nutrienti.9-13 Tutti gli schemi dietetici dovrebbero fare riferimento ai Livelli di Assunzione di Riferimento dei Nutrienti (LARN) stabiliti per la popolazione italiana. Pertanto, una dieta bilanciata dovrebbe prevedere un apporto minimo di proteine pari a 1 g/kg/die, un apporto di carboidrati pari al 45-60% delle calorie totali (di cui semplici <15%) e di lipidi pari al 20-35% delle calorie totali (di cui acidi grassi saturi <10%).

Sebbene le evidenze disponibili siano limitate, la maggior parte degli autori ritiene che l’approccio dietetico migliore sia la dieta mediterranea.12,13 La dieta mediterranea prevede un elevato apporto di frutta, verdura, cereali, legumi, olio di oliva e frutta secca, con prevalente assunzione di pesce e carni bianche, piuttosto che carne rossa, derivati del latte e dolci.12 In questo modo la dieta mediterranea favorisce anche l’apporto di fibre, di sostanze ad azione antiossidante e di acidi grassi essenziali.

Un approccio alternativo consiste nella cosiddetta dieta DASH (Dietary Approach to Stop Hypertension),8 che privilegia frutta, verdura, carboidrati da cereali integrali, derivati del latte a basso contenuto di grassi, pesce, carne bianca e oli vegetali, prevedendo una drastica diminuzione o eliminazione di carne rossa, grassi animali, zucchero, nonché un consumo giornaliero di sodio inferiore a 2,4 grammi. Questo tipo di dieta può essere ipocalorica e si è dimostrata efficace nel ridurre sovrappeso, obesità e pressione arteriosa in adolescenti.8

Nel caso in cui sia necessario indurre un rapido calo di peso, in casi selezionati e in centri di terzo livello si può ricorrere alla dieta fortemente ipocalorica,8 caratterizzata da un apporto di calorie molto basso 600-800 kcal/die, garantendo tuttavia un adeguato apporto di proteine (1,5-2 g/kg /die). Tale regime può essere mantenuto per non oltre dieci settimane e deve essere seguito da un regime ipocalorico meno restrittivo.







Attività fisica. I soggetti obesi devono essere incoraggiati ad aumentare l’attività fisica, intraprendendo programmi strutturati e controllati di attività aerobica o di resistenza, al fine di aumentare la spesa energetica contrastando la possibile perdita di massa magra che in alcuni casi può associarsi al trattamento dietetico.3,13-15 È stato dimostrato in vari studi che l’attività fisica associata alla dieta è in grado di indurre non solo calo ponderale, ma anche di migliorare i fattori di rischio cardio-metabolico associati all’obesità.3,13-15 Il tipo e la quantità di attività fisica dovrebbero essere prescritti in base all’età e adattati alle eventuali limitazioni derivanti dal grado di obesità. Inoltre, l’attività fisica in età pediatrica dovrebbe essere concepita come momento di divertimento e gioco, prevedendo un incremento progressivo di frequenza, intensità e durata.

I bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni dovrebbero trascorrere almeno 180 minuti al giorno facendo attività fisica di varia intensità sotto forma di gioco libero supervisionato, comprendenti almeno 60 minuti di attività moderata/vigorosa. Inoltre, dovrebbero essere educati a non essere sedentari, limitando i periodi di inattività e l’esposizione a schermi a non oltre un’ora al giorno.14

Bambini e adolescenti di età 6-17 anni dovrebbero svolgere almeno 60 minuti di attività moderata-vigorosa al giorno, comprendenti anche attività aerobiche finalizzata a migliorare le abilità motorie come corsa, ciclismo e nuoto. Inoltre, almeno 3 volte a settimana dovrebbero svolgere attività che consentano di migliorare la flessibilità e la forza muscolare.14 L’esposizione a schermi nel tempo libero dovrebbe essere limitata a 2 ore al giorno.8,15

Negli ultimi anni svariati autori hanno valutato l’efficacia dei videogiochi attivi (exergames) come strategia per aumentare il dispendio energetico e contrastare la sedentarietà.8 Sebbene consentano un dispendio energetico finanche pari all’esercizio moderato (nel caso di giochi ad alta intensità che prevedano l’uso degli arti superiori e inferiori), il loro ruolo nella terapia dell’obesità resta da validare.

Supporto psicologico. Recenti evidenze suggeriscono che in bambini e adolescenti obesi l’associazione di una terapia comportamentale alle modificazioni dello stile di vita comporti vantaggi in termini di efficacia del trattamento.3,8 La famiglia rappresenta il contesto principale in cui il bambino si sviluppa e pertanto gli interventi più efficaci sono quelli che coinvolgono il sistema famiglia.3,8

Le principali terapie impiegate per l’obesità sono la terapia comportamentale, cognitivo-comportamentale e l’educazione terapeutica del paziente. Tali terapie sono di competenza dello psicologo, che deve quindi far parte del team multidisciplinare specializzato. Le principali tecniche comportamentali utilizzate sono: contracting: stipulare un contratto terapeutico con il bambino e/o la famiglia; goal setting: fare un piano per obiettivi intermedi; environmental control parental monitoring: controllo sull’ambiente di vita del soggetto da parte dei genitori (riduzione dei cibi presenti in casa, ecc.); self monitoring: controllo dei cibi consumati (diario alimentare), controllo del peso (grafico del peso), automonitoraggio dell’attività fisica (diario dell’attività fisica, contapassi); modeling parentale: ruolo di modello dei genitori nella sfera alimentare e motoria; rinforzo positivo: messa in atto di un sistema di rinforzi positivi da parte degli operatori e dei familiari (es. lodi, ricompense, ecc.).16

Tecniche comportamentali emergenti sottolineano l’importanza di aiutare il paziente ad acquisire abilità che gli consentano di sviluppare modelli di comportamento adattivi e trovare motivazioni al cambiamento. L’intervento risulta più efficace se il paziente è adeguatamente motivato ad esso attraverso un apposito training che affronti l’ambivalenza legata al trattamento.16

Trattamento farmacologico

Nel caso in cui i cambiamenti dello stile di vita da soli non consentano di raggiungere gli obiettivi terapeutici, è oggi possibile abbinare un intervento farmacologico per l’obesità, che deve essere gestito solo da centri di terzo livello.

Ad oggi in Italia sono autorizzati due farmaci contro l’obesità anche per la fascia pediatrica: la setmelanotide, per alcune forme genetiche rare di obesità a partire dai 6 anni e la liraglutide per le forme di obesità primitiva a partire dai 12 anni.




Tuttavia, quest’ultima è ancora poco usata per i costi elevati (non coperti dal Sistema Sanitario Nazionale) e la preoccupazione di effetti collaterali a lungo termine.

Setmelanotide. La setmelanotide è un agonista del recettore della melanocortina 4 (MC4R), che viene somministrata quotidianamente per via sottocutanea. Tale terapia è indicata in forme genetiche di obesità quali difetto bi-allelico di propiomelanocortina (POMC), recettore della leptina (LEPR), proproteina convertasi subtilisina/kexina di Tipo 1 (PCSK1) oppure sindrome di Bardet-Biedl. Sono in corso trials in altre forme genetiche quali sindrome di Alstrom, mutazione eterozigote di MC4R e difetti epigenetici a carico di POMC.

In Italia secondo la Determina AIFA nella G.U. n. 200 del 27.08.2022, a partire dal 28.08.2022 è possibile utilizzare, in regime di rimborsabilità SSN, il medicinale IMCIVREE (setmelanotide) per la seguente indicazione terapeutica: “Trattamento dell’obesità e il controllo della fame associati a deficit di POMC, compreso PCSK1, con perdita di funzione bi-allelica geneticamente confermata, o a deficit bi-allelico del LEPR negli adulti e nei bambini di età pari o superiore ai 6 anni”.

Liraglutide. La liraglutide è un analogo del recettore GLP-1 (glucagon-like peptide-1), ormone incretinico umano, che riduce l’assunzione di cibo legandosi ai recettori del GLP-1 presenti nelle cellule cerebrali dei nuclei del tronco encefalico che regolano l’appetito. Ne consegue un incremento della sensazione di sazietà con diminuzione dei segnali di fame.17 La liraglutide ha un’emivita di circa 13 ore e può essere somministrata una volta al giorno, per via sottocutanea.18 Diversi studi clinici controllati randomizzati hanno stabilito l’efficacia e la sicurezza della liraglutide in età pediatrica sul miglioramento della qualità di vita e dei valori antropometrici. In particolare, l’aggiunta della liraglutide alle modificazioni dello stile di vita per una durata di 56 settimane comportava una riduzione maggiore del BMI (differenza stimata -0,22SDS, con una riduzione di almeno il 5% nel 43,3% dei partecipanti) e del peso corporeo (differenza stimata -4,5 kg) rispetto al placebo,18-21 con un miglioramento di pressione arteriosa, indici di funzionalità epatica, profilo glucidico e lipidico.20,21 La liraglutide ha mostrato un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, essendo associata a lievi disturbi gastrointestinali (specialmente nausea) prevalentemente nei primi due mesi di trattamento.18-21

Nel marzo 2021 l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato l’indicazione per la terapia dell’obesità in adolescenza in combinazione con la modifica dello stile di vita della liraglutide. In Italia in base alla nota AIFA Determina n. 35/2022 del 12 gennaio 2022 la liraglutide nella forma commerciale Saxenda® di 3,0 mg è indicato in aggiunta ad una sana alimentazione e ad un aumento dell’attività fisica per la gestione del peso corporeo in pazienti adolescenti dall’età di 12 anni in poi con:

· obesità (BMI corrispondente a =30 kg /m² per gli adulti)

· peso corporeo superiore a 60 kg.

Il trattamento con liraglutide va praticato a dosi crescenti, partendo da 0,6 mg e aumentando settimanalmente fino a 3 mg o alla dose massima tollerata e deve essere interrotto e rivalutato se i pazienti non hanno perso almeno il 4% del loro BMI dopo 12 settimane alla dose di 3,0 mg/die o alla dose massima tollerata.

Chirurgia bariatrica

Rappresenta l’ultima possibilità terapeutica, ed è suggerita in caso di:3

· fallimento delle altre terapie disponibili

· BMI >40 kg/m2 , oppure

· un BMI >35 kg/m2 complicanze dell’obesità moderate-severe, quali ad esempio diabete mellito tipo 2, steato-epatite non alcolica, tibia vara, ipertensione intracranica idiopatica, malattia da reflusso gastro-esofageo, apnee ostruttive notturne, epifisiolisi della testa del femore, aumentato rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, dislipidemia, insulino-resistenza), ridotta qualità di vita.

Negli ultimi anni si è assistito ad un aumentato ricorso alla chirurgia dell’obesità in età pediatrica, per via dei risultati incoraggianti emersi in letteratura. Infatti, in una recente metanalisi di 49 studi, comprendenti circa 3000 adolescenti, le tecniche di chirurgia bariatrica hanno mostrato complessivamente una riduzione del BMI del 31% in un follow-up fino a 120 mesi.22 I benefici sul peso sembrano mantenersi nel tempo fino a 9 anni dall’intervento, con elevate percentuali di remissione delle complicanze metaboliche dell’obesità.3,22

Mentre inizialmente la chirurgia bariatrica era riservata a soggetti con adeguata maturazione scheletrica o sviluppo puberale completo, in accordo con le recenti linee guida dell’Accademia Americana di Pediatria, possono oggi essere indirizzati alla chirurgia bariatrica adolescenti a partire dai 13 anni, indipendentemente dal grado di sviluppo puberale.3 Va sottolineato che l’età non rappresenta l’unico fattore decisionale e che vanno valutati numerosi altri aspetti, inclusi stato psicologico e psicosociale, capacità del paziente e della famiglia di comprendere rischi e benefici associati all’intervento, nonché di esprimere il consenso informato, capacità di aderenza alle modifiche dello stile di vita e potenziali controindicazioni.3 È quindi necessario che il paziente venga valutato da un team multidisciplinare con esperienza.

Le controindicazioni alla chirurgia bariatrica sono rappresentate da elevato rischio anestesiologico, abuso di sostanze, desiderio di gravidanza nei 18 mesi successivi al trattamento, disturbi della condotta alimentare o condizioni psichiatriche che limitino l’aderenza al trattamento post-operatorio.3

Le tecniche più diffuse sono di tipo restrittivo (bendaggio gastrico regolabile e gastrectomia parziale verticale (sleeve gastrectomy) o misto restrittivo/malassorbitivo (bypass gastrico su ansa alla Roux), tutte eseguibili con tecniche di chirurgia mininvasiva laparoscopica. Il bendaggio gastrico regolabile è sempre meno usato a causa di ridotta efficacia e elevata frequenza di complicanze.3 Sebbene il bypass gastrico sia spesso considerato il gold standard per la chirurgia dell’obesità, la gastrectomia verticale è oggi la tecnica preferita negli adolescenti, per via della minore durata dell’intervento e del migliore profilo di sicurezza.3 Oltre alla riduzione della capacità gastrica (circa 80%), la sleeve gastrectomy si associa a modificazioni del profilo ormonale gastroenterico, con effetti positivi su appetito/sazietà, bilancio energetico e metabolismo glicemico.3,22

Conclusioni

L’obesità infantile è una patologia ad eziologia multifattoriale derivante dall’interazione di cause genetiche, ambientali ed endocrine. Essa è gravata da numerose complicanze fisiche e psicosociali che possono essere già riscontrate in età pediatrica, ma tendono ad aggravarsi in età adulta. Pertanto, la prevenzione dell’obesità costituisce un obiettivo prioritario di salute pubblica, da perseguirsi a più livelli in ambito sociosanitario. L’approccio multifattoriale (dieta combinata a attività fisica e supporto psicologico) costituisce il cardine della terapia dell’obesità infantile. Tuttavia, le opzioni terapeutiche dell’obesità sono in costante aumento e nei soggetti che ancora presentano obesità severa e importanti comorbidità nonostante intervento multifattoriale è possibile oggi prescrivere farmaci efficaci oppure ricorrere già in adolescenza a interventi di chirurgia bariatrica. .

Gli autori dichiarano di non avere alcun conflitto di interesse.




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