Dalla genetica all’epigenetica: cosa cambia nella pratica clinica dell’ASD

Uno shift di paradigma: l’epigenetica fornisce una chiave di lettura plausibile e utile per orientare le scelte in campo clinico, dalla prevenzione primaria alla pianificazione di un modello di assistenza coerente con i complessi bisogni di salute delle persone nello spettro autistico.

Cristina Panisi1, Ernesto Burgio2

1 Pediatra, PhD in psicologia, neuroscienze e statistica medica, Fondazione Istituto Sacra Famiglia, Cesano Boscone, Milano; SPAEE – Servizio di Psicologia dell’Apprendimento e dell’Educazione in Età Evolutiva, Università Cattolica di Milano

2 Pediatra, ECERI – European Cancer and Environment Research Institute, Bruxelles, Belgio

L’autismo è una condizione psiconeurobiologica sistemica che attualmente riguarda almeno una persona su 100. L’ampia varietà delle caratteristiche comportamentali rende ragione della definizione di “spettro autistico”. Peculiarità nella comunicazione e nella interazione sociale, variabili pattern di interessi – spesso assai inusuali – e comportamenti ripetitivi sono le caratteristiche distintive di disturbo dello spettro autistico (ASD). L’intensità delle manifestazioni, la combinazione con le numerose caratteristiche individuali e il variabile funzionamento cognitivo – dalla disabilità intellettiva ad una intelligenza a volte notevolmente superiore alla media - creano combinazioni uniche, in continua evoluzione, dall’infanzia all’età adulta. Ne risulta un contenitore assai ampio, con esigenze di supporto estremamente diversificate che richiedono un modello flessibile, tale da includere tutti e in grado di intercettare le caratteristiche di ciascuno, così da personalizzare l’approccio e il supporto.

Un’ulteriore sfida è rappresentata dalla valorizzazione della psiconeurodiversità rappresentata dalla mente autistica. Oltre ai personaggi famosi che hanno contribuito in modo significativo alla storia dell’umanità con il “think different”, ogni giorno le persone con autismo – non necessariamente geniali – attestano il valore di una psiconeurodiversità che non può essere considerata patologia.

Dunque, perché parlarne? Dove collocare il confine tra il rispetto e la valorizzazione della psiconeurodiversità? Come tutelare le diverse modalità del neurosviluppo, affinché la “psiconeurodiversità” non sia unicamente la risultante di interferenze “ambientali” negative?

La preoccupazione riguarda il continuo incremento di quadri complessi, con impatto crescente sull’autonomia e il benessere di numerose persone che mostrano comportamenti francamente autistici.

Le stime recenti riportano 1 caso su 54 negli USA (fino a 1 su 40: stima basata sulle segnalazioni dei familiari) e 1 caso su 77 in Italia. Se l’ampliamento dei criteri diagnostici ha senza dubbio contribuito al dato di prevalenza, d’altro canto, la gran parte della comunità scientifica ritiene ormai che l’aumento sia effettivo e rapidamente progressivo. Questo rende urgente la comprensione dei meccanismi neurobiologici (in ultima analisi epigenetici) che sono all’origine del fenomeno e l’avvio di strategie efficaci per contrastarlo.1

Diagnosi

L’autismo è una condizione lifelong che si manifesta in peculiarità del comportamento nei primi anni di vita, con evoluzione assai variabile in funzione delle caratteristiche individuali e del contesto di vita. Le differenze rispetto allo sviluppo neurotipico possono mostrarsi con modalità e tempi diversi: mancata acquisizione di competenze entro il primo anno di vita (early onset); rallentamento dello sviluppo entro i 2 anni, dopo un periodo di sviluppo fisiologico (late onset); perdita di competenze precedentemente acquisite (regressive autism). La gravità della disabilità intellettiva è il principale fattore che condiziona le necessità di supporto e il raggiungimento di autonomia della persona autistica. In ogni caso, anche in presenza di normale o elevato funzionamento cognitivo, raramente le persone autistiche raggiungono un grado di autonomia e inclusione sociale adeguati alle proprie potenzialità.

Le anomalie del comportamento sono inizialmente rilevate dai genitori o dal pediatra curante. È disponibile un test di screening (M-CHAT, Modified Checklist for Autism in Toddlers), proposto ai bambini a partire dai 18 mesi. Negli ultimi anni è stato proposto l’aggiornamento delle schede delle visite filtro previste dai bilanci di salute, metodo che sembra maggiormente in linea con il profilo dinamico del neurosviluppo e della vivace neuroplasticità dei primi due anni di vita.

La diagnosi di ASD è clinica e si basa su interviste rivolte ai genitori e osservazione dei comportamenti dei bambini in risposta alla somministrazione di stimoli standardizzati. Precocità di diagnosi, tempestività e adeguatezza dell’intervento psicoeducativo sono correlate a migliori risultati. Purtroppo, in considerazione dell’elevato numero di bambini e adolescenti ASD, le attuali possibilità di erogazione dei servizi sono notevolmente inferiori rispetto alle necessità. Ne risulta che la stragrande maggioranza dei bambini riceve un supporto tardivo e con standard lontani dall’evidenza di efficacia. Per tale motivo, le famiglie e le associazioni di tutela lamentano un sentimento di frustrante impotenza, derivante dalla conoscenza della diagnosi di autismo del figlio, senza la possibilità di sostenerlo.

Modello patogenetico in chiave epigenetica

La ricorrenza familiare di disordini del neu- rosviluppo – in particolare, l’alta concordanza di autismo tra gemelli monozigoti – inizialmente ha suggerito un ruolo determinante della eredità genetica. L’ipotesi di una ereditarietà mendeliana si è però rivelata inadeguata a fronte del rapidissimo e ubiquitario incremento epidemiologico. Inoltre, la soltanto parziale concordanza tra gemelli monozigoti e la ricorrenza tra gemelli dizigoti superiore a quella tra fratelli nati da gravidanze distinte ha spostato l’attenzione sul ruolo dell’ambiente intrauterino e dei fattori e meccanismi epigenetici che influenzano e modulano i meccanismi del neurosvilupppo (neurogenesi, proliferazione, migrazione e differenziamento cellulare, sinaptogenesi) in epoca embriofetale.

Queste considerazioni sono in linea con il modello patogenetico della DOHaD Theory (Developmental Origins of Health and Diseases), secondo cui l’incremento continuo di patologie croniche endocrino-metaboliche, immuno-infiammatorie, degenerative e tumorali sarebbe riconducibile alle modificazioni epigenetiche reattivo-adattative che l’embrione e il feto mettono in atto a fronte di un ambiente in continua e troppo rapida trasformazione (fetal programming).2 Soprattutto in questa finestra temporale, il software epigenetico di ogni cellula si modifica in modo potenzialmente adattativo-predittivo, predisponendo i diversi organi e tessuti e i sistemi omeostatici globali ad affrontare l’ambiente extra-uterino. In particolare, l’intera costruzione del sistema psico-neuro-immuno-endocrino (PNEI) si realizza solo in parte sulla base del programma genetico inscritto nelle nostre cellule: i delicati e articolati processi di proliferazione, differenziamento, migrazione cellulare, sinaptogenesi e pruning, sono infatti essenzialmente indotti dalle informazioni provenienti dall’ambiente attraverso la madre e la placenta. È da questo complesso confronto tra i segnali e le informazioni provenienti dall’ambiente e quelle contenute nel genoma che deriva l’assetto epigenetico, genomico e connettomico incredibilmente complesso e differenziato che a sua volta determina la nostra vera individualità psico-neurobiologica (sia fisiologica, sia appunto patologica).3 In questo senso i modelli genomici e connettomici sistemici, aperti, plastici che si vanno strutturando e modificando mediante un continuo processo di auto-organizzazione e rimodulazione adattativa (ingegneria genetica naturale: J Shapiro), appaiono infinitamente più plausibili e coerenti con l’enorme e continuamente mutevole complessità biologica che definisce la nostra individualità psico-neuro-immunologica rispetto ai tradizionali modelli lineari DNA-centrici o addirittura gene-centrici tuttora in auge, che inquadrano le variazioni del nostro fenotipo (in particolare quelle patologiche) come il prodotto di variazioni stocastiche nella sequenza del DNA o della sua espressione. Nei nuovi modelli il genoma di ogni cellula si configura come una sorta di “ipertesto interattivo” e come un network molecolare incredibilmente complesso e perennemente in fieri: in grado di processare l’informazione proveniente dall’ambiente (esposoma) e di trasformarsi, dapprima nel software (epigenoma: codice istonico, metilazioni del DNA, network di RNA minor) e in seguito nella stessa sequenza del DNA (sequenze mobili, CNVs, ecc.). È importante sottolineare che su questa base ogni cambiamento, sia fisiologico sia patologico del nostro fenotipo, deve essere considerato come indotto dall’ambiente, modulato dall’epigenoma e condizionato dal DNA. Le stesse modifiche della sequenza del DNA dovrebbero essere studiate e comprese in questa luce come potenzialmente reattivo-adattative e non soltanto come errori o danni (come dimostrano le migliaia di mutazioni non dannose che caratterizzano soprattutto neuroni e linfociti: le due popolazioni di memoria).

Particolare attenzione è rivolta alla placenta, definita anche “scatola nera della gravidanza”, proprio in ragione del ruolo centrale nel controllo dello sviluppo embrio-fetale, delle interazioni tra feto, microambiente uterino e ambiente esterno e, in ultima analisi, nella modulazione stessa della programmazione epigenetica fetale (adattativo-predittiva). In questo senso, la placenta è cabina di regia degli adattamenti molecolari embrio-fetali (in particolare, per quanto concerne le modifiche epigenetiche a carico dei geni imprinted, che svolgono un ruolo cruciale nel controllo dello sviluppo fetale).4

La recente, profonda, rapidissima trasformazione ambientale e, in particolare, del micro-ambiente uterino (per gli aspetti chimici, fisici e biologici esiste una letteratura scientifica enorme, purtroppo poco nota in ambito medico) svolge un ruolo primario nell’incremento dei disturbi del neurosviluppo, come dimostrano le forti correlazioni tra inquinamento ambientale, stress materno-fetale, infiammazioni materne (acute e croniche), alterazioni a carico della placenta, prematurità e disturbi del neurosviluppo. Questi riscontri confermano un significato reattivo-adattivo – non stocastico – delle modifiche epigenetiche e genomiche riscontrate nei disturbi del neurosviluppo, in particolare, in ASD. Il recente aumento di tali modificazioni e la loro frequente presenza nei gameti paterni e materni – ma non nei genitori – ne è ulteriore conferma.2,4

Quanto detto spiega la massima vulnerabilità – e, al tempo stesso, la massima plasticità e quindi, potenzialmente, la massima opportunità di salute – del sistema PNEI in vertiginoso sviluppo nei Primi 1000 giorni di vita. In particolare, la vivace neuroplasticità del periodo embrio-fetale e dei primi due anni di vita post-natale rende il cervello del bambino più aperto/plastico alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente esterno, ma anche più vulnerabile all’azione di fattori di disturbo sulla costruzione delle reti neuronali, con conseguenze in ambito percettivo, motorio, emozionale, cognitivo e relazionale, con manifestazioni variabili per epoca ed intensità.3




Pertanto, se le modificazioni epigenetiche sono, in generale, modificabili, d’altra parte, possono avviare processi spesso solo in parte reversibili. Si pensi, per esempio, alla modulazione epigenetica del sistema gabaergico, eccitatorio durante l’ontogenesi e inibitorio nel corso della vita postnatale. La perturbazione di questo shift in epoca precoce ha ripercussioni a cascata sul crescente livello di complessità del cablaggio del connettoma, con differenze area-specifiche che procedono indipendentemente dalla modificazione epigenetica iniziale.

Sul piano clinico, le interferenze con la costruzione dell’epigenoma – e quindi del connettoma cerebrale – si esprimono in quadri clinici differenti, ma in larga misura sovrapposti. In particolare, sono evidenti sovrapposizioni di soggetti ASD con ADHD, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi dell’apprendimento - ulteriore dimostrazione di quadri clinici diversi, ma dovuti a disturbi più o meno precoci nella costruzione delle reti neuronali (epigenetici quindi, molto più che genetici). Espressione di questo fenomeno sono anche la complessità e variabilità del fenotipo in ASD, incluse le frequenti comorbilità, dimostrazione di un disturbo sistemico. Infatti, la plasticità delle risposte adattivo-predittive durante l’ontogenesi non è esclusiva del SN.3-5

Sistema immunitario e neurosviluppo

La complessa relazione tra sistema immunitario e SN costituisce uno dei temi più rilevanti della ricerca in ASD degli ultimi decenni. Come già intuito da Metchnikoff un secolo fa, il sistema immunitario ha un importante ruolo istruttivo-costruttivo. Durante la vita embriofetale modula la migrazione neuronale, la sinaptogenesi, l’organizzazione della sostanza bianca, il rimodellamento delle sinapsi (pruning), vale a dire tutti i meccanismi di cruciale importanza per il neurosviluppo.

In ASD sono descritte numerose anomalie della risposta immunitaria specifica e aspecifica.6 L’interesse per il possibile ruolo della neuroinfiammazione nell’autismo è stato inizialmente suscitato dalla dimostrazione di un’anomala attività infiammatoria cerebrale e marcata attivazione di microglia e astroglia in reperti autoptici di soggetti autistici.

Numerosi studi correlano l’attivazione immunitaria materna (MIA) con il rischio di disordini del neurosviluppo, in particolare con l’insorgenza di ASD e schizofrenia nella prole. La MIA rappresenta un meccanismo effettore innescato dalla convergenza di numerosi possibili fattori di rischio, tra cui infezioni, autoimmunità, allergia, stress materno-fetale, tossici ambientali (in particolare, particolato ultrafine, metalli pesanti ed interferenti endocrini). Particolarmente importante è la correlazione tra disbiosi materna – in particolare, del cavo orale – MIA e insorgenza di ASD.

La MIA può essere considerata una “condizione primer”, terreno predisponente sul quale intervengono successivamente ulteriori fattori di rischio, come “colpi multipli” che si susseguono lungo una traiettoria di fragilità del SN.7 In altre parole, anche la MIA propone i disturbi del neurosviluppo come risultato di una traiettoria di fragilità potenziale, anziché immagine statica di un danno inevitabile e irreversibile. E anche il modello dinamico della MIA richiama necessariamente l’attenzione sul ruolo della prevenzione primaria in gravidanza.8 La figura 1 riassume i principali fattori di rischio e protettivi in gravidanza per l’insorgenza di ASD.




Microbiota, sistema immunitario e asse intestino-cervello

La ricerca sull’autismo sta beneficiando dell’im- portante produzione scientifica riguardante l’asse intestino-cervello, cioè la complessa interazione bidirezionale in cui il “direttore d’orchestra” è il microbiota, ecosistema microbico complesso – in gran parte formato nei primi 2 anni di vita – costituito da oltre un chilogrammo di microrganismi (batteri, funghi, virus) che contengono oltre un milione di geni. Questo contributo genetico (microbioma), unitamente ai 20-23.000 geni umani, porta ad immaginare l’essere umano come un “olobionte”, cioè un organismo che, in termini di patrimonio genetico, si scopre assai più ricco rispetto alla sola eredità ottenuta delle cellule germinali. Anche la concettualizzazione dell’olobionte apre nuovi scenari “sistemici” e propone l’equilibrio delle popolazioni microbiche (eubiosi) come fondamentale opportunità per la salute. Questo implica che i numerosi fattori che possono influenzarlo nei Primi 1000 giorni (microbiota materno, modalità del parto, allattamento al seno, alimentazione, infezioni e terapie antibiotiche precoci) rappresentano fondamentali fattori di rischio/salute. I numerosi studi che correlano la disbiosi al maggior rischio di ASD confermano che questa opportunità riguarda anche il neurosviluppo.4,9

L’asse intestino-cervello è costituito da numerose vie molecolari, dai meccanismi epigenetici diretti dei prodotti di derivazione batterica sulle proteine istoniche delle cellule del SN, a modificazioni della permeabilità della barriera enterica (leaky gut), con conseguente passaggio di sostanze dal lume intestinale alla lamina propria, attivazione della risposta immunitaria e liberazione di numerose molecole infiammatorie. Queste raggiungono il SNC attraverso il nervo vago e per via ematica e attivano la microglia, cioè cellule mononucleate fagocitarie residenti nel SN e fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi nel tessuto nervoso.4

Mitocondri/stress ossidativo, risposta immunitaria, disbiosi: un trio pericoloso

A partire dal ruolo nel differenziamento della cellula staminale neuronale, la funzionalità mitocondriale è correlata alle numerose e complesse attività del neurosviluppo, in quanto partecipa all’omeostasi tissutale e fornisce energia per le funzioni cellulari, particolarmente vivaci durante l’ontogenesi. Oltre al deficit energetico, la disfunzione mitocondriale ha una correlazione bidirezionale con lo stress ossidativo, dunque è collegata alle disfunzioni delle membrane cellulari.

Gran parte della ricerca sull’autismo si occupa proprio di questi aspetti, con ampia dimostrazione di disfunzione mitocondriale ed elevato stress ossidativo.4

Parte degli effetti della disbiosi sul neurosviluppo e sul coinvolgimento gastrointestinale sembra essere mediata dalla disfunzione mitocondriale. A sua volta, la funzionalità mitocondriale è modulata dai metaboliti dei batteri enterici e da numerosi tossici ambientali e farmaci.4

Le numerose connessioni tra funzionalità mitocondriale/stress ossidativo, risposta immunitaria e disbiosi suggeriscono la presenza di un circolo vizioso, un “cattivo trio” con maggiori conseguenze se entra in azione durante la gravidanza – e dunque impatta sul “macchinario epigenetico” durante l’ontogenesi – e prosegue l’azione di disturbo per tutta la vita della persona autistica,4 contribuendo alla patogenesi dei numerosi disturbi neurologici (epilessia, disturbo comportamentale e sue ulteriori regressioni, disturbo del sonno, psicopatologia) e muscolari (ipotonia, distonia, mialgia, astenia, stipsi) (Figura 2).




Dal modello patogenetico alla pratica clinica

Le numerose e significative anomalie biologi- che riscontrate in ASD rendono ragione di un disturbo sistemico, con crescente complessità, dall’infanzia all’età adulta. Una positiva esperienza con i medici in età evolutiva è premessa di una buona accoglienza delle procedure diagnostiche e terapeutiche in età adulta. In caso contrario, evitamento ed energica oppositività saranno la prevedibile risposta nell’adulto autistico, con oggettiva difficoltà di applicare i medesimi standard di qualità di assistenza rivolti alla popolazione generale.

Uno studio di mortalità nel periodo 1999-2014 negli USA ha evidenziato una vita media di 36 anni in ASD rispetto ai 72 anni della popolazione generale, a conferma dei rischi per la salute per le persone nello spettro.

I frequenti disturbi di natura organica possono influire in modo determinante sul comportamento, aspetto di cui tener conto nella analisi funzionale del comportamento, nella prescrizione di terapia psicofarmacologica e nella pianificazione degli interventi educativi. Di seguito si accennerà ad alcune delle più frequenti comorbilità mediche che il pediatra può incontrare nella pratica clinica.




Con frequenza variabile – dal 46 all’84% a seconda delle casistiche – le manifestazioni gastrointestinali sono tra le più frequenti.5 Il collegamento tra intestino e autismo, accolto inizialmente con scetticismo, ha ricevuto crescente attenzione dopo la pubblicazione di una metanalisi dalle pagine di Pediatrics.10 La correlazione tra l’intensità delle manifestazioni gastroenteriche e la gravità dei sintomi comportamentali rende la diagnosi e la terapia della patologia gastrointestinale della massima importanza per le persone autistiche.

Particolare attenzione è richiesta dalla valutazione del dolore – soprattutto nelle persone non verbali. Le peculiarità sensoriali e le difficoltà di comunicazione possono portare a sottovalutare la presenza di disturbi organici. Una accurata anamnesi circa le caratteristiche delle feci, posture con possibile significato antalgico, la visualizzazione di filmati delle crisi comportamentali, possono aiutare il pediatra a cogliere elementi suggestivi per patologie organiche. Tra queste, si segnala l’enteropatia eosinofila, rara nella popolazione generale, più frequente in ASD. È estremamente subdola, poiché può determinare intensa sintomatologia, in assenza di significativo aumento degli indici di flogosi. La diagnosi si basa sul riscontro di infiltrati eosinofili all’indagine endoscopica.

In ASD risulta più frequente anche l’allergia, da ipotizzare e trattare anche in assenza di sintomatologia intensa, poiché la difficoltà respiratoria (anche solo la sensazione di ostruzione nasale da allergeni perenni) e il prurito possono concorrere in modo rilevante al disturbo comportamentale.

Un ultimo argomento proposto riguarda l’alimentazione. La disbiosi e l’elevato stress ossidativo in ASD richiederebbero una scrupolosa attenzione per la qualità dell’alimentazione. Al contrario, le persone con ASD, purtroppo, sono i principali testimonial del “cibo spazzatura”, spesso utilizzato come rinforzo negli interventi educativi, concausa della frequente sindrome metabolica e alta frequenza di patologia odontoiatrica.

Conclusioni

L’elevata prevalenza e la complessità dei bisogni di salute in ASD richiedono un profondo cambiamento di paradigma, coerente con le recenti acquisizioni scientifiche ed efficace nel promuovere un cambiamento nell’assistenza rivolta alle persone.

Sul piano della ricerca, la complessità biologica di ASD sollecita il potenziamento nelle direzioni che prospettano la maggiore utilità, quali l’epigenetica, lo studio dei fattori ambientali, l’immunologia, la biochimica, la microbiologia. In campo diagnostico, alte aspettative sono rivolte alla metabolomica, cioè alla possibilità di disporre di una sorta di “impronta digitale biochimica”, in grado di orientare il clinico nel ginepraio delle anomalie biochimiche/microbiologiche dominate dal “cattivo trio” (stress ossidativo, infiammazione, disbiosi), dalla vita intrauterina all’età adulta.4

Il modello in chiave epigenetica indica la prevenzione primaria come via maestra per modificare la rotta nei prossimi anni e attenuare l’interferenza delle modifiche ambientali in senso lato sul neurosviluppo. Oltre a ridurre la frequenza dei nuovi casi di ASD, la prospettiva dinamica e sistemica modifica profondamente anche l’approccio e il modello di assistenza rivolto alle persone autistiche, dall’infanzia all’età adulta.

In questo processo, il pediatra di famiglia ha un ruolo centrale: dal suo rapporto con i bambini autistici di oggi dipenderanno la salute e le possibilità di cura dell’adulto di domani.

Diagnosi e terapia delle comorbidità dovrebbero precedere la pianificazione degli interventi educativi, per mettere il bambino nelle migliori condizioni di crescita e apprendimento.4,5

Strumenti e strategie di facile impiego possono agevolare le visite mediche e rendere effettivamente accessibili le cure a pazienti che spesso appaiono “difficili”, ma potrebbero sorprendere, diventando entro breve “pazienti-modello”.

La migliore accessibilità a visite mediche e indagini diagnostiche potrà ridurre il rischio di fraintendere alcuni comportamenti – in particolare, autolesivi ed eteroaggressivi – ed evitare l’errore di considerare “parte del comportamento autistico” le manifestazioni di dolore su base organica. Inoltre, considerato il frequente ricorso alla psicofarmacologia per la gestione dei comportamenti disfunzionali – e i numerosi effetti collaterali – si comprendere l’alto rischio di condotte mediche inconsapevolmente negligenti e rischiose per i pazienti, se la prescrizione farmacologica non è preceduta da un’attenta valutazione degli aspetti organici.

In sintesi, l’evidenza scientifica mette a disposizione contenuti e metodi per realizzare un modello di intervento multidisciplinare e interdisciplinare dal quale è atteso non solo il miglioramento dell’assistenza per le persone nello spettro autistico, ma anche una più efficace prevenzione primaria.4

La realizzazione di questo modello richiede che la formazione professionale sull’autismo venga integrata con temi riguardanti il “corpo sotto il comportamento”, un corpo che porta in sé la sfida di una “diversità” di aspetti biologici, non solo comportamentali (Figura 3).




I temi proposti sono stati recentemente pubblicati in un una review a firma di un ampio Panel di ricercatori e clinici italiani.4 Dal documento ha preso le mosse il GLIA (Gruppo di Lavoro Interdisciplinare per l’Autismo), un laboratorio interdisciplinare per la ricerca e la collaborazione clinica, rivolto a ricercatori, medici e altri professionisti che desiderano contribuire ad un cambiamento in questo ambito .

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

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