Il pediatra e il bambino con malattia cronica

Pediatri, di famiglia e specialisti, siano il punto di riferimento e di accompagnamento per i bisogni di cura e assistenziali dei bambini con malattia cronica, soprattutto in tempo di pandemia.

Quattro domande a

Sandra Frateiacci

Presidente ALAMA

Associazione Liberi dall’Asma,

dalle Malattie Allergiche,

Atopiche, Respiratorie e Rare – APS;

Aderente a FederAsma e Allergie

Federazione Italiana Pazienti

1. La pandemia da SARS-CoV-2 ha cambiato drasticamente le abitudini e le prospettive di vita di ogni famiglia, quali sono secondo lei le problematiche delle famiglie di un bambino con malattia cronica in questo contesto?

L’incertezza nel futuro e la solitudine in cui adulti e bambini vengono a trovarsi, le difficoltà nel gestire le condizioni di ansia e di precarietà della vita lavorativa, scolastica, relazionale che questi lunghi mesi di pandemia stanno causando, il conseguente impoverimento delle risorse economiche che, per molte famiglie, si traduce in gravi difficoltà di sostentamento, contribuiscono a creare un disagio grave che si ripercuote sul vissuto dell’intera famiglia, con risvolti psicologici ed esistenziali che possono minare gravemente i rapporti familiari, acuire i contrasti generazionali e mettere a dura prova la stessa continuità e composizione del nucleo familiare.1 In questa situazione di forte precarietà, con un forte impatto psicologico causato dal cambiamento delle abitudini e dei ritmi di vita del nucleo familiare (smart working, didattica a distanza, isolamento dagli affetti familiari e amicali), le famiglie con figli affetti da patologie croniche si trovano ad affrontare la paura di un ancora più difficile percorso ad ostacoli per ottenere quanto necessario a garantire la tutela della salute e delle misure socio-assistenziali per i propri figli, oltre alla difficoltà di accesso alle strutture ospedaliere/sanitarie di riferimento, temendone allo stesso tempo la frequentazione per il rischio di contagio. Il timore di venire contagiati per questi genitori, che nella maggior parte dei casi sono le uniche figure di riferimento per la cura a domicilio dei propri figli, è molto alto, perché equivarrebbe a decretare l’interruzione dell’assistenza e delle cure. Questo timore amplifica la paura di incorrere in complicanze, se non addirittura di morire, facendo diventare più reale e imminente il problema del “dopo di noi” e la domanda “chi si occuperà, e come, dei nostri figli?”.2

2. Come crede si possano affrontare le difficoltà dell’accesso alle cure per queste famiglie?

Le difficoltà di accesso alle prestazioni e alle tutele sociali, l’aumento delle difficoltà di gestione delle tante incombenze burocratico/amministrative e la difficile situazione in cui verte la sanità territoriale renderanno sempre più gravoso prendersi cura al domicilio dei propri figli con patologia cronica, specie in un periodo in cui le già scarse risorse sanitarie e sociali sono fortemente impegnate a gestire le emergenze in ambito ospedaliero e non si è ancora riusciti a rafforzare la presa in carico territoriale e la gestione dei pazienti al proprio domicilio. È proprio in questo contesto che le figure del pediatra di famiglia e degli specialisti in pediatria assumono un ruolo strategico nell’organizzare i percorsi di continuità assistenziale “protetta” per i loro pazienti con malattia cronica, evitando l’interruzione delle prestazioni sanitarie e attivando, ove possibile, procedure di tele-consulto e tele-monitoraggio che permettano di seguire anche a distanza i loro pazienti. La possibilità per il pediatra di famiglia di effettuare televisite, telemonitoraggio, teleconsulto, consentirebbe di effettuare un primo contatto/indagine e capire se è necessario programmare una visita in presenza presso il suo studio e/o visite specialistiche presso le strutture ospedaliere/territoriali3. Il pediatra di famiglia, quindi, essendo il primo interlocutore della famiglia e il primo punto di accesso al Sistema Sanitario Nazionale, gioca un ruolo estremamente importante nel garantire equità nell’accesso alle cure, deve conoscere le misure di tutela previste dal nostro ordinamento e facilitare l’accesso alle prestazioni, alle terapie, ai presidi terapeutici, al sostegno psicologico e socio-assistenziale nonché alle misure a sostegno del reddito (es. diritto a permessi di lavoro per i genitori, assistenza a scuola, ecc.), per permettere la presa in carico e l’assistenza ottimale al bambino. Inoltre è al pediatra di famiglia che spetta il compito di garantire l’accesso alla vaccinazione Covid-19 ai ragazzi con patologia cronica che hanno raggiunto l’età in cui la vaccinazione anti Covid-19 è consigliata e ai genitori/caregiver di minorenni.




3. Come valuta le difficoltà legate al periodo dell’adolescenza durante l’attuale pandemia, soprattutto se gravate da una patologia cronica?

L’adolescenza rappresenta un passaggio particolarmente complesso anche nei giovani non affetti da patologia cronica, complessità ancora più accentuata negli adolescenti che convivono, spesso sin dalla nascita, con una malattia e che mal sopportano il continuare ad essere considerati “malati” e dover sottostare a regole che li costringono a rinunce rispetto ai loro pari. Questi ragazzi vogliono sentirsi liberi di entrare a far parte del “gruppo” dei pari e desiderano fare le stesse cose che fanno i loro compagni e per questo sono disposti a correre dei rischi che ritengono “accettabili” per non sentirsi “diversi”. Questo li può portare ad avere comportamenti pericolosi e anche a mettere a rischio la loro vita (mancata attenzione ad alimenti/contaminazioni in caso di allergie alimentari, fumo in caso di asma). Di contro, per alcuni di loro, il passaggio dall’età pediatrica, in cui solitamente sono protetti ed accuditi dai genitori, all’età adolescenziale/adulta è motivo di forte preoccupazione e sensazione di inadeguatezza e, se inseriti in un contesto scolastico/sociale “aggressivo”, possono presentare atteggiamenti di rinuncia e chiusura verso la comunità e diventare vittime di bullismo da parte dei coetanei, sviluppando una sempre maggiore propensione all’isolamento. In questa epoca in cui il web è una presenza ormai irrinunciabile nella vita di tutti noi, in particolare degli adolescenti, gli atti di bullismo si trasformano spesso in cyberbullismo, minando violentemente la loro sfera emotiva e relazionale.4 E proprio a causa della pandemia è stato registrato un aumento del fenomeno del cyberbullismo tra i giovani, un report ISTAT ha evidenziato come il 22% delle azioni di bullismo è realizzato sulla rete e come le ragazze sono più colpite da atti di cyberbullismo rispetto ai ragazzi.5

4. Quale deve essere il ruolo del pediatra di fronte a queste problematiche e cosa chiedono a lui le famiglie dei bambini con malattia cronica?

Il pediatra deve essere un punto di riferimento stabile per i ragazzi e le loro famiglie, per intercettare tempestivamente situazioni di rischio e prevenire quelle condizioni di disagio che, se non affrontate e prese in carico correttamente, potrebbero portare a conseguenze drammatiche sull’intero percorso di crescita e di inserimento nella vita adulta e, in casi estremi, sfociare in azioni irreparabili quali il suicidio.6 Numerosi studi effettuati nel periodo del lockdown hanno evidenziato un tragico aumento del disagio in tutte le fasce di popolazione, in particolare in quella adolescenziale.7 Altro ruolo importante del pediatra è quello di “traghettare” il minore e la famiglia verso la medicina dell’adulto, in un momento molto delicato dell’esistenza nel quale la gestione della malattia viene di fatto “passata” direttamente nelle mani del ragazzo, passaggio vissuto come liberatorio da parte dell’adolescente, che spesso abbandona i percorsi di cura sino ad allora seguiti a favore di una agognata autonomia. È in questo delicato momento che il contributo del pediatra può rappresentare la discriminante tra l’abbandono delle cure e il proseguimento cosciente e consapevole del percorso di cura da parte del ragazzo. Per tutti questi motivi, le famiglie dei bambini con malattia cronica chiedono ai pediatri, di famiglia e specialisti, soprattutto in questo momento di pandemia, la disponibilità a continuare ad essere punto di riferimento e di accompagnamento per i bisogni di cura e assistenziali dei loro figli, sostenendone le necessità non solo sanitarie ma anche socio-assistenziali e psicologiche .

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