La medicina

di transizione

in pneumologia

La medicina di transizione,
come sfida per la sanità italiana,
deve prevedere obbligatoriamente
percorsi di informazione
e di trasferimento di informazioni
e di pazienti dalla medicina pediatrica
a quella dell’adulto.

Renato Cutrera

Direttore U.O.C.

Broncopneumologia,

Dipartimento Pediatrico

Universitario Ospedaliero

Ospedale pediatrico

Bambino Gesù

– IRCCS Roma




Premessa

Per medicina di transizione si deve intendere “il passaggio proposto, programmato e schedulato da un’assistenza sanitaria pediatrica centrata sul bambino e sulla famiglia a un’assistenza sanitaria centrata sul paziente e orientata sul paziente adulto”, come la Society for Adolescent Health and Medicine americana definisce questa branca della medicina.1

La medicina di transizione in pneumologia non può prescindere da una serie di criticità, minori o maggiori, o anche sommerse, tra le quali:

l’adolescente in insufficienza respiratoria cronica (adesempio il paziente in ventilazione domiciliare a lungo termine)

l’adolescente con asma

la prevenzione della broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD).

Relativamente alle competenze e alla presa in carico di questi pazienti, nell’adolescente con insufficienza respiratoria cronica devono intervenire ad uguale livello e impegno il centro specialistico e il pediatra di famiglia, e quest’ultimo, a sua volta, deve lavorare e collaborare con il medico di medicina generale per la transizione del paziente. Allo stesso modo, nell’adolescente con asma la figura territoriale e quella di riferimento devono coesistere e agire a pari livello. Qualora invece si tratti di prevenzione della COPD, ossia di presa in carico di bambini con precedenti di wheezing transitori, attualmente asintomatici, ma a rischio di sviluppare una COPD precoce nel momento in cui dovessero cominciare a seguire stili di vita errati, come fumare, è compito dei pediatri di famiglia la segnalazione al medico di medicina generale del paziente.

Medicina di transizione

e patologie respiratorie

Insufficienza respiratoria cronica

Bambini con insufficienza respiratoria cronica, e quindi spesso bambini ventilati, con diverse patologie sottostanti, richiedono un impegno assistenziale certamente maggiore rispetto agli altri pazienti (children with medical complexity, children with special health needs). Tra l’altro, in passato questa categoria di pazienti pediatrici andava incontro a mortalità precoce; oggi, grazie al progresso tecnologico, il tasso di sopravvivenza è ben diverso ed essi arrivano ad essere pazienti della medicina dell’adulto, che sia la medicina generale o specialistica. Come per i neonati prematuri, che sopravvivono a fronte però di un handicap, o di una broncodisplasia, o una paralisi cerebrale infantile importante, anche i bambini con insufficienza respiratoria cronica hanno bisogni complessi e necessitano di risposte integrate multi-specialistiche e inter-istituzionali. Le patologie che li riguardano infatti vanno dalle miopatie, le distrofie muscolari, la amiotrofia spinale, e ad altre patologie rare: quelle che colpiscono non più di una persona ogni 2000 abitanti, ma il cui numero complessivo oscilla tra le 7000 e le 8000 coinvolgendo un numero totale di pazienti molto alto. I bambini affetti da distrofia di Duchenne, per esempio, vanno incontro ad insufficienza respiratoria in un’epoca che potrebbe essere borderline tra i 14 e i 18 anni e spesso presentano anche una miocardiopatia dilatativa, con la necessità quindi di presidi esterni anche per la parte cardiaca. I progressi della medicina, oggi, in Italia, per fare un altro esempio, hanno fatto sì che i trattamenti per la fibrosi cistica permettono una sopravvivenza anche fino ai 40 anni o più. Così come in generale le nuove terapie, soprattutto le più recenti di tipo genico, hanno aumentato la sopravvivenza trasferendo alcune malattie in ambito di cronicità.

Da qui nasce la necessità di rimodulare i modelli transizionali, di passaggio, che – per le patologie croniche – sono di due tipi:

1) il centro pediatrico che segue il paziente dalla pediatria fino all’età adulta, trasformandosi in medici dell’adulto o cooptando specialisti di medicina dell’adulto (pneumologi, gastroenterologi, ecc.)

2) il passaggio dal centro pediatrico a un centro specialistico per l’adulto.

Il modello da adottare dipende dalla malattia e dall’expertise. La fibrosi cistica è la patologia cronica con maggiore storia e ha permesso la creazione di un centro per adulti in Regioni come la Lombardia o il Lazio. Per malattie molto più rare, l’expertise potrebbe facilmente rimanere in campo pediatrico.

Da una survey2 in Gran Bretagna – relativa agli anni 1998–2008 – risulta come il numero di pazienti con un ventilatore a domicilio sia incrementato fino a 1000 pazienti dalla precedente survey, ossia raddoppiato nel giro di 10 anni. In Italia, purtroppo, i dati sulla ventilazione pediatrica domiciliare sono ancora fermi al 2007, ma la Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI) si sta facendo carico di raccogliere il numero di pazienti in ventilazione domiciliare a partire da quella data in modo da poter confrontare i 535 trovati allora con quelli attuali.




A titolo di esempio la U.O.C. di Broncopneumologia del Bambino Gesù ha partecipato, con 70 casi, alla survey italiana3 di 535 pazienti. Se oggi l’U.O.C. includesse nella survey i casi storici trattati, compresi quelli che non ci sono più, totalizzerebbe 474 casi. Fatto questo che dà un ordine di grandezza di cosa stia succedendo in questi anni in questo campo in Italia. I 437 pazienti in ventilazione a lungo termine (al 30 giugno 2016) dell’U.O.C. includono in maggioranza casi con malattie neuromuscolari, ma anche problemi legati a OSAS gravi, oncodisplasia, broncodisplasie, ventilazione centrale tipo sindrome di Ondine.

Una survey pubblicata su Pediatric Pulmonology nel 20154 mostra la gestione delle problematiche di transizione di pazienti dipendenti da dispositivi meccanici per la funzione respiratoria in un Paese ben organizzato come gli Stati Uniti. Secondo i ricercatori scopo della transizione è ottimizzare la qualità di vita e i potenziali futuri di giovani pazienti con determinate condizioni cliniche, e gli elementi imprescindibili per una buona transizione sono: 1) una policy scritta della medicina di transizione, 2) un registro per identificare e tracciare i pazienti, 3) strumenti di pianificazione, per esempio piano di azione della transizione, o un portable medical summary (in Italia potrebbe essere di grande aiuto il fascicolo sanitario elettronico, sebbene sarebbe forse più utile un summary, ossia una sintesi che il pediatra e il medico di medicina generale dovrebbero estrapolare dal fascicolo sanitario elettronico), 4) un trasferimento del paziente temporalmente organizzato e pianificato alla medicina dell’adulto.

La survey ha coinvolto 50 centri statunitensi che seguivano pazienti in ventilazione a lungo termine a cui è stato chiesto di rispondere ad un questionario elettronico sulle pratiche e le procedure di transizione dei pazienti dalla pneumologia pediatrica a quella dell’adulto. Il tasso di risposta è stato buono (32/50 ossia il 64%). Sette di questi centri avevano meno di 50 pazienti, 14 centri tra i 50 e i 99 pazienti, 8 centri con 100–200 pazienti e in fine 3 centri più di 200. Le figure professionali coinvolte erano: il medico nell’82,1% dei casi, l’infermiere nel 60,7% dei casi e a seguire – in percentuali minori – gli operatori sociali (53,6%), i fisioterapisti in particolare ovviamente i respiratory therapist (39,3%) fino ai dietisti (14,3%) e gli psicologi (10.7%). I risultati sono molto interessanti, tra questi: il 78,1% dichiara di non utilizzare un protocollo standard di transizione, nessun programma indagato ha designato un leader, ossia un responsabile, della transizione, percentuali molto basse (6–10%) inviano una lettera informativa al paziente e/o al caregiver, o richiedono un consenso informato scritto; il 58% consegna i record medici, quindi la cartella clinica, al team della pneumologia e i record radiografici al medico dell’adulto. Infine, solo nel 37% dei casi un team di pediatri pneumologi media e schedula la transizione alla medicina dell’adulto, e nel 55% dei casi è previsto un periodo ad interim in cui il paziente viene seguito e osservato sia da un team pediatrico che da uno della medicina dell’adulto. Se questa è la situazione negli Stati Uniti, purtroppo in Italia è ancora meno entusiasmante.

Asma

L’asma è una patologia molto frequente, complicata spesso da problemi di compliance che rendono i casi difficili da trattare. Le morti per asma a volte sono bambini, ma altre sono adolescenti che interrompono il trattamento: questi sono i casi in cui l’informativa al medico di medicina generale, il passaggio al centro specialistico e un coinvolgimento dei servizi sociali avrebbero probabilmente evitato il decesso. Proprio e soprattutto nell’asma difficile da trattare e nell’asma grave dovrebbero essere previsti dei protocolli per la medicina di transizione ben designati. All’epoca di una survey pubblicata sull’Italian Journal of Pediatrics5 erano 41 i bambini inseriti nel registro dell’asma grave, attualmente il numero di bambini con asma grave che necessitano pertanto di assistenza e cura particolari è salito a 120. Alcuni di questi sono adolescenti per i quali è avvenuta la transizione alla medicina dell’adulto. Perché in questi casi la transizione si è realizzata? Per alcuni forse perché la malattia ha avuto inizio a 15 anni, ossia in un’età già di competenza o quasi della medicina dell’adulto, ma per altri invece può essere cominciata prima riacutizzandosi in età pre- e adolescenziale, momento in cui si è riusciti a creare un ponte di transizione con gli pneumologi e gli allergologi dell’adulto in modo da stabilire un dialogo tra di loro e la possibilità di entrare in contatto con quei centri della medicina dell’adulto che abbiano adolescenti sotto i 18 anni.

Wheezing prescolare

Un bambino su quattro ha wheezing in età prescolare, alcuni di questi diventeranno bambini asmatici altri no. Il transient early wheezer colpisce alcuni bambini che pertanto fischiano quando sono molto piccoli, ma già a 6 anni non manifestano più il sintomo. Nei bambini asmatici la funzione respiratoria comincia a ridursi a 6 anni, nei bambini con transient early wheezer la funzione respiratoria è già alterata e ridotta prima di quell’età e la mantengono tale anche a 6 anni (Figura 1).6 In accordo con i dati disponibili fino ai 25 anni di età, questi soggetti sono bambini, adolescenti o adulti che mantengono un flusso sia delle piccole che delle grandi vie respiratorie più basso della norma. Può succedere che nei soggetti con transient early wheezer non si raggiunga una funzione respiratoria completa, come normalmente avviene dopo la vita fetale, e conseguentemente essa si riduce molto rapidamente e in modo importante nel momento in cui questi stessi soggetti sono esposti a fattori ambientali insalubri o stili di vita inadeguati (fumo). Soprattutto il fumo ha un peso notevole nel rischio di andare incontro a disabilità o morte (Figura 2).7







Data la multifattorialità di alcune patologie respiratorie, vi sono casi (fino al 20%) di soggetti che pur non avendo mai fumato vanno incontro a COPD, per esempio. Questi sono quei casi in cui, in assenza di informazioni dirette da parte del paziente, la sua storia clinica a partire dall’età pediatrica potrebbe essere di grande importanza per il medico di medicina generale perché rivelerebbe, forse, una condizione pregressa e risolta di transient early wheezer. Come realizzare allora il trasferimento delle informazioni dal pediatra al medico di medicina generale? È compito dei pediatri e delle associazioni di pediatria che devono lavorare insieme per colloquiare con la medicina generale ed effettuare il passaggio dalla pediatria alla medicina dell’adulto, passaggio che per il bambino sano è semplice, lineare e scontato, ma non per il bambino cronico o affetto da altre patologie.

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

La COPD è una malattia molto grave che conta 64 milioni di persone affette nel mondo, è irreversibile a differenza del broncospasmo che può regredire con o senza terapia. In una situazione che vede il lume bronchiolare completamente sconvolto, si assiste a un rimodellamento continuo, a un’infiltrazione e un danno dei setti, oltre al sussistere di enfisema inteso proprio come danno anatomico con rottura dei setti interveoloari e la fibrosa. È una condizione da cui, come si diceva, non si regredisce: a danno avvenuto non vi sono strategie o azioni che possano riparare, né smettendo di fumare né attraverso riabilitazione: la malattia può solo rallentare, se rallenta, o nella migliore delle ipotesi fermarsi. Con la COPD si è raggiunta la parità dei sessi: non è più solo una condizione che affligge gli uomini dal momento che anche le donne hanno cominciato a fumare e contestualmente gli uomini hanno diminuito. Esiste ancora in Italia un 20–30% di fumatori tra uomini e donne.

I fattori di rischio indicati dalle linee guida internazionali GOLD8 (OMS) sono: il fumo passivo, il fumo materno, l’inquinamento indoor e outdoor, la crescita del polmone, la nutrizione e le infezioni respiratorie. Tra i fattori individuali si elencano il basso peso alla nascita e la funzione respiratoria nei primi mesi di vita. Sono fattori di rischio di competenza del pediatra che può e deve implementare un’azione forte di medicina preventiva. Nel momento in cui è la medicina generale ad occuparsi di COPD i sintomi sono già in atto e la malattia irreversibile. Intervenire precocemente in pediatria significherà: mettere in atto tutte le azioni anche informative possibili per ridurre il fumo materno, ridurre l’esposizione in utero, ridurre il fumo passivo, ridurre il tabagismo precoce negli adolescenti, quindi la dipendenza dal tabacco e il numero di fumatori adulti.

E proprio sul fumo, vi sono fenomeni tra i giovani che vanno analizzati e se possibile contrastati. Da una parte l’uso diffuso tra gli adolescenti della sigaretta elettronica che, invece di essere come dovrebbe un mezzo attraverso cui il fumatore smette di fumare, diventa una moda tra i non fumatori che poi – attraverso questo dispositivo – diventano fumatori. Dall’altra il fumo non solo passivo ma attivo tra i bambini. Il fumo attivo in età pediatrica dà aumento di tosse frequente, di broncospasmi e dispnea, decremento dei flussi, diminuzione del rendimento sportivo, dipendenza precoce dalla nicotina, effetti sulla frequenza maggiore e sulla pressione, maggiore suscettibilità ad infezioni. Il pediatra di famiglia ha la possibilità di intervenire su questa area di medicina preventiva, perché a volte è l’unico medico delle famiglie giovani: esistono numerosi casi di coppie genitoriali giovani (20–25 anni) che a fronte di visite molto poco frequenti presso il proprio medico di medicina generale frequentano assiduamente lo studio del pediatra che pertanto può intercettare situazioni a rischio e intervenire.

Conclusioni

La medicina di transizione è una delle sfide per la sanità italiana. La prevenzione e il trattamento di patologie croniche possono e devono cominciare in età pediatrica, ma se non vengono strutturati e formalizzati percorsi culturali, di informazione e di trasferimento di informazioni e di pazienti dalla medicina pediatrica a quella dell’adulto, di certo perderemmo molto in termini di salute pubblica e di salute per i nostri pazienti

Le Società scientifiche pediatriche e dell’adulto debbono svolgere il loro ruolo di esperti nel guidare e suggerire alle autorità politiche regionali e nazionali le necessità tecniche e collaborare con loro per le modalità operative 

L’autore dichiara di non avere alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Society for Adolescent Medicine. Transition from child-centered to adult health care systems for adolescents with chronic conditions. A position paper. J Adolesc Health 1993;14:570.

2. Wallis C, Paton JY, Beaton S, Jardine E. Children on long-term ventilatory support: 10 years of progress. Arch Dis Child 2011;96:998-1002.

3. Recca F, Berta G, Sequi M, et al. Long-term home ventilation of children in Italy: a National survey. Pediatr Pulmonol 2011;46:566-572.

4. Agarwal A, Willis D, Tang X, et al. Transition of respiratory technology dependent patients from pediatric to adult pulmonology care. Pediatr Pulmonol 2015;1294-1300.

5. Montella S, Baraldi E, Cazzato S, et al. Severe asthma features in children: a case-control online survey. Ital J Pediatr 2016;42:9.

6. Ducharme F, Tse SM, Chauhan B. Diagnosis, management, and prognosis of preschool wheeze. Lancet 2014;383:1593-604.

7. Fletcher C, Peto R. The natural history of chronic airflow obstruction. BMJ 1977;1:1645-8.

8. http://goldcopd.org