Curare il pregiudizio dei pediatri italiani

sul peso per curare i bambini con obesità

Lo stigma sul peso influenza negativamente la motivazione all’esercizio fisico,
riduce la richiesta e l’intenzione di curarsi e la self-efficacy; correla positivamente
con il successivo aumento del peso, delle sue comorbilità e l’esordio di disturbi alimentari.

Rita Tanas1, Francesco Baggiani2, Guido Caggese3,
Giuliana Valerio4, Giovanni Corsello5

1 Divisione di Pediatria e di Adolescentologia, AOU di Ferrara

2 Cooperativa Sociale Onlus La Stadera di Greve in Chianti, Firenze

3 UO Anestesia e Rianimazione, AOU di Ferrara

4 Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli
Parthenope

5 Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
“G. D’Alessandro”, Università degli Studi di Palermo




Introduzione

L’obesità è un problema di salute pubblica di difficile gestione. La ricerca suggerisce interventi preventivo/curativi sempre più precoci, in gravidanza e nei primi mesi del bambino, svolti dal pediatra di famiglia (PdF) integrato in una rete di servizi. Uno degli ostacoli meno noti alla sua cura è la discriminazione sul peso, detta Anti-Fat Attitudes (AFA).1

La stigmatizzazione, cioè l’attribuzione consapevole e/o inconscia di significati negativi all’eccesso di peso e il ritenerne l’individuo responsabile, produce pensieri e atteggiamenti negativi. Lo stigma induce a pensare le persone obese o in sovrappeso come “pigre, sciatte, poco intelligenti poco attraenti”2 e colpevoli della loro condizione. Da ciò nasce l’humus in cui si sviluppa la derisione universale per il bambino: in ambito familiare, scolastico e sanitario. La prima inizia molto precocemente, non correla con il BMI dei bambini, ma con lo stigma dei genitori, che li porta ad assumere atteggiamenti alimentari restrittivi, favorendo scelte insane.3 Studi sui comportamenti sociali affermano che i bambini con obesità sono spesso “trascurati” e quelli con obesità grave addirittura “respinti” dai compagni.4

Nel settore sanitario l’AFA è diffusa in ogni ambito,2,5,6 persino fra gli specialisti dell’obesità. Non ci sono studi sulla sua prevalenza in Italia, né in ambito pediatrico. Un lavoro svolto in 4 paesi europei (Italia, Francia, Polonia e Ucraina) sottolinea la bassissima adesione di medici e PdF alla compilazione di un breve questionario dedicato, maggiore in Italia, nonostante la prevalenza record di obesità. Pur con una costante e buona preparazione su valutazione antropometrica, alimentazione, attività motoria, problematiche psicologiche, i PdF chiedono ulteriore formazione per passare dalla diagnosi alla comunicazione e all’avvio di un progetto di cura.7

L’etiologia dell’obesità è complessa. Soffermarsi solo sullo squilibrio energetico è inadeguato e colpevolizzante: molti altri fattori genetici e ambientali la determinano. I programmi terapeutici volti a cambiare lo stile di vita hanno avuto solo effetti minimi sul BMI; l’efficacia dell’intervento è dubbia e le diete restrittive sono sconsigliate.8 Le comuni credenze che il peso sia principalmente sotto controllo individuale attraverso i comportamenti relativi all’alimentazione e all’esercizio fisico, che un alto indice di massa corporea debba significare necessariamente cattivi comportamenti e cattiva salute sono favorite dai messaggi delle agenzie sanitarie sui “corretti” stili di vita e alimentano lo stigma e aggravano l’obesità.

Ancora oggi, purtroppo, la derisione sul peso è da molti pensata come utile a motivare i pazienti alla perdita di peso. In passato i medici sono stati sollecitati da alcuni governi ad essere più incisivi nella comunicazione della diagnosi, auspicando che questo fosse terapeutico, e persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha puntato sulla consapevolezza dei genitori. La letteratura raccomanda più prudenza. Lo stigma sul peso influenza negativamente la motivazione all’esercizio fisico, riduce la richiesta e l’intenzione di curarsi e la self-efficacy; correla positivamente con il successivo aumento del peso,9 delle sue comorbilità e l’esordio di disturbi alimentari. I figli di genitori consapevoli del loro eccesso di peso, rivalutati dopo anni, presentano un peggioramento del peso;10 gli adolescenti derisi presentano maggiore sofferenza psicologica e minore risposta ai trattamenti.




L’AFA è sempre più diffusa, più forte dello stigma su razza e sesso, e tende alla lunga ad essere interiorizzata così che le stesse persone che ne soffrono diventano auto-deridenti, giustificano la derisione ricevuta e fanno attribuzioni negative su di sé.11,12 In sanità l’AFA predice visite più brevi, messaggi più veloci e meno convincenti, maggiore distanza fisica fra medico e paziente.13 L’esperta Rebecca Puhl ha riassunto i potenziali effetti nocivi dell’AFA in psicologici: depressione, ansia, bassa autostima, ideazione suicidaria, insoddisfazione per il proprio corpo; e fisici: comportamenti alimentari insani (salto dei pasti, diete a ridottissimo contenuto calorico < 800 cal/die, pasti ipocalorici pronti) o estremi (digiuno, vomito, uso di farmaci) e rifiuto dell’attività motoria.11

L’attenzione verso l’AFA professionale è aumentata: studi su studenti e professionisti sanitari sostengono che l’atteggiamento discriminatorio esplicito peggiora col progredire della formazione e dell’attività clinica.14 Da ciò l’impegno a formare professionisti capaci di prenderne coscienza, ridurre il proprio stigma e difendere i bambini da quello subito in famiglia e a scuola. Considerando il ruolo dei pediatri nella gestione del peso, ci è sembrato opportuno conoscere i loro pensieri e atteggiamenti per, eventualmente, proporre strategie per migliorarli.15

Scopo di questo studio è valutare l’entità dello stigma esplicito verso le persone in sovrappeso o con obesità da parte dei pediatri, eventuali differenze fra PdF e Pediatri Ospedalieri (PO) e fra quelli che lavorano al Nord (Piemonte, Lombardia, Val d’Aosta, Veneto, Trentino, Friuli, Emilia Romagna e Liguria), Centro (Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Marche e Sardegna) e Sud Italia (Molise, Campania, Puglia, Lucania, Calabria e Sicilia).

Strumenti

Il questionario sul pregiudizio esplicito su peso e corpo (AFAQ), adattato da Crandall,16 è costituito da 13 item divisi in 3 sottoscale: “avversione” verso le persone grasse; “paura” di diventare sovrappeso/obesi e “responsabilità” cioè convinzione che il sovrappeso sia il risultato di un controllo personale inadeguato o assente. L’AFAQ è stato offerto, anonimo, per via telematica agli 8960 pediatri iscritti alla Società Italiana di Pediatria (SIP) dal 21 marzo al 6 giugno 2016 nell’ambito del progetto “Attitudini all’organizzazione dell’ambulatorio dedicato all’obesità” con l’aggiunta di 2 domande su tipo di lavoro e sede.

I pediatri iscritti alla SIP sono per l’88% pediatri ospedalieri (PO) e per il 7% PdF; il 42% lavora al Nord, il 22% al Centro e il 36% al Sud.

Le risposte sono state valutate su una scala Likert a 5 punti, da 1 (fortemente in disaccordo), che indica assenza di stigma, fino a 5 (completamente d’accordo), che indica stigma elevato. Ogni punteggio superiore ad 1 indica presenza di stigma.

Risultati

Hanno aderito all’AFAQ 992 pediatri, l’11% degli iscritti (quattro questionari sono stati scartati perché contenevano meno del 20% delle risposte). 960 pediatri (99%) hanno specificato il tipo di lavoro: 526 (54,2%) PdF e 444 (45,8%) PO. 956 (97%) hanno specificato la sede di lavoro: 437 (45,8%) Nord, 217 (31,5%) Centro, e 302 (22,7%) Sud.

L’AFAQ ha realizzato un punteggio medio totale di 2,42 ± 0,6; nella sottoscala: “avversione” 1,88 ± 0,7, in quella “paura del grasso” 2,96 ± 1.0 e in quella “responsabilità” 3,18 ± 0,8. I risultati dettagliati sono riportati nella Tabella 1.

Tra PdF e PO non ci sono differenze sostanziali, se non per un punteggio lievemente aumentato nella “avversione” da parte dei PdF (p = 0,06) (Tabella 2). Il confronto tra le 3 aree di provenienza mostra una differenza significativa solo nella sottoscala “paura del grasso” più elevata a Sud rispetto a Centro-Nord (p < 0,001) (Tabella 3).

Solo 5/988 pediatri (0,5%), tutti PdF, hanno dato risposte coerenti con assenza di stigma in tutti i 13 item; solo 9 (0,9%) (di cui 5 PdF) hanno dato una sola risposta stigmatizzante e 22 (2,2%) due. Valutando le singole risposte 4472 sono coerenti con assenza di stigma (punteggio 1) e 997 col suo valore massimo (5).




Discussione

L’esame dei questionari ha evidenziato più alta partecipazione da parte dei PdF rispetto ai PO (p< 0,001). Ciò potrebbe dipendere dalla loro specializzazione in altre patologie e minore attenzione all’obesità. I PdF hanno aderito davvero in maniera inaspettata su un tema che evidentemente sta loro a cuore (PdF 83% vs PO 6%). I risultati rivelano un elevato grado di stigma esplicito; maggiore nelle sottoscale paura e responsabilità, che avversione.

Nel Nebraska una ricerca simile nelle cure primarie (medici, infermieri, dietisti, psicologi, farmacisti, studenti) ha dato punteggi simili: elevati e sbilanciati nelle 3 sottoscale a favore di paura e responsabilità. Purtroppo i risultati sono difficili da confrontare coi nostri perché ottenuti con scala Likert da 0 a 9: il dominio “avversione” ha ottenuto in media 2,1±1,7, “paura” 5,1±2,4, “responsabilità” 4,9±2,1.5 Uno altro studio su 265 fisioterapisti australiani, professionisti il cui lavoro ha un elevato coinvolgimento sul corpo e l’impegno personale, ha trovato risultati simili: elevati e con punteggi superiori per paura e responsabilità rispetto ad avversione.6




L’analisi dei nostri questionari evidenzia solo piccole differenze fra le 3 macroaree ed i 2 tipi di attività dei pediatri. Dato che la stigmatizzazione è socialmente condivisa, fortemente sostenuta da messaggi mediatici e della sanità pubblica, ciò potrebbe aver globalizzato i pensieri e gli atteggiamenti di tutti i pediatri, indipendentemente dal tipo di professione e dall’area geografica.

La divisione fra diverse aree rivela che al Nord, dove l’obesità è meno frequente e meno grave e, verosimilmente, la sensibilità delle famiglie più elevata, i punteggi dell’AFAQ sono più bassi per avversione e paura rispetto al Sud, dove le famiglie sono ancora meno pronte ad occuparsene.

La prevalenza dello stigma, superiore nei PdF, potrebbe essere spiegata da un minore aggiornamento sulle cause dell’obesità o da minore contatto con casi di obesità grave. È verosimile che i pediatri, come tanti altri professionisti sanitari, non siano consapevoli del loro stigma, ma ciò può costituire un serio ostacolo ad assolvere al compito di comunicare la diagnosi e iniziare la cura. Anche se dotati di calcolatori on-line per il BMI, preparati sui temi dello stile di vita, comunicazione e problemi psicologici7 avrebbero bisogno di una formazione più efficace. Non avendo consuetudine con strumenti quali il counseling di motivazione e disponibilità di una rete di supporto, infatti, non credono di poter aiutare i loro pazienti. Spesso tollerano il sovrappeso senza intervenire, per assumere poi atteggiamenti colpevolizzanti quando diviene obesità, e, infine, cercano sostegno in altri professionisti quando diventa grave e/o la famiglia chiede aiuto. Gli obiettivi proposti dalle linee-guida, spesso irraggiungibili, causano frustrazione e sensazione di fallimento che aumentano lo stigma universale, peggiorano tempi e qualità del counselling dei professionisti, fiducia e richiesta delle famiglie.13-16




Limiti

Il nostro studio ha diversi limiti. Il questiona-rio AFAQ è stato scelto per la sua brevità, il numero di possibili risposte è stato ridotto da 9 a 5 per facilitare l’adesione. Nato in USA, l’AFAQ non è ancora validato in Italia e gli stessi autori sottolineano che non si adatterebbe completamente allo stigma dei sanitari: per esempio un medico che dice di non aver piacere di ingrassare non è necessariamente stigmatizzante, ma potrebbe solo temere le conseguenze dell’obesità.14 Nella domanda “mi fa piacere pensare di non avere amici in sovrappeso o obesi” si potrebbe anche intendere solo il piacere di avere amici sani, piuttosto che stigma.

Abbiamo limitato i dati personali richiesti per non rischiare bias di selezione, per cui non possiamo valutare differenze legate a sesso o età. È possibile che la compilazione su base volontaria, e non random, crei di per sé bias di selezione, anche se è verosimile che i medici più stigmatizzanti siano proprio quelli che, rifiutando di occuparsi di obesità, non abbiano aderito. L’uso della compilazione web può determinare ulteriori imprecisioni. Altro fattore causa di errore potrebbe derivare dall’essere i PdF iscritti alla SIP non rappresentativi di tutti i PdF Italiani.

Conclusioni

Lo stigma sul peso dei pediatri è cruciale nel condizionare l’efficacia delle cure: sia la convinzione di farcela delle famiglie, che l’impegno del professionista.13 È fondamentale aiutare i professionisti a sviluppare un ambiente più neutrale e uno stile comunicativo rispettoso, non giudicante e collaborativo con obiettivo “empowered family”.

Lo stigma dimostrato da questo studio soprattutto fra i PdF, professionisti più vicini alle famiglie, associato ad uno scarso interesse verso l’obesità da parte dei PO fa sì che tutti, famiglie e pediatri, non affrontino insieme il problema. Così le famiglie mettono a dieta i bambini tardivamente ed in maniera autonoma o con sostegno professionale inadeguato, rivolgendosi a professionisti non formati all’età evolutiva e/o con tempi di consulenza inadeguati. Precedenti indagini hanno illuso che la derisione possa essere ridotta da percorsi di formazione centrati sulle sue cause e sul ruolo della responsabilità del paziente,15 rispetto a fattori ambientali e genetici, ma i progetti così realizzati non hanno dimostrato evidenza di efficacia.14 Oggi pertanto si propone di sfruttare più strade per ridurla.17

In conclusione purtroppo non possiamo dire che la stigmatizzazione dei pediatri risparmi i bambini ed i ragazzi con problemi di peso. Affrontare lo stigma durante la formazione professionale fin dagli anni accademici e avviare percorsi dedicati condivisi fra territorio e ospedale potrebbe portare a un’offerta di cure di migliore qualità. Per tutti i pediatri offrire cure personalizzate ed efficaci, senza lasciarsi condizionare da preconcetti, dovrebbe essere un obiettivo primario per impedire all’AFA di vanificare la terapia precoce dell’obesità

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Ringraziamenti

Si ringrazia la dott.ssa Elisa Consonni di SIP BIOMEDIA Srl Area Scientifica Milano per la splendida collaborazione nell’organizzare distribuzione, raccolta e prima elaborazione dei questionari.

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