Prescrizioni al telefono:

chi ci tutela?

La migliore tutela per un sanitario è agire con diligenza e nel rispetto
delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici”.

Edoardo Scalici,

Claudia Minacapelli Marotta

Dipartimento di Scienze

per la promozione
della salute e materno infantile –

Sezione di Medicina legale,

Università di Palermo




“Dottore: Chiara, la mia piccola di 4 mesi, da stamattina ha la febbre alta e difficoltà a respirare… cosa le devo dare?”. Quante volte a un pediatra di libera scelta è capitato di ricevere una telefonata simile? E ogni volta ci si chiede quali siano i limiti, le competenze e le responsabilità di una eventuale prescrizione telefonica. Nell’ambito della responsabilità medica la casistica attribuisce un ruolo sempre più emergente al tema della prescrizione medica telefonica.

Studi condotti a livello internazionale riportano che le cause degli errori in terapia sono multifattoriali e coinvolgono differenti operatori sanitari, ciascuno dei quali interagisce a vari livelli nel processo di gestione del farmaco. In considerazione di ciò, tutti gli operatori coinvolti sono chiamati a prestare attenzione ai possibili errori derivanti da un uso non corretto dei farmaci, poiché questi errori, se opportunamente monitorati e valutati, possono essere evitati. In uno studio condotto nel Regno Unito nel 2000, più della metà degli eventi registrati è risultata dovuta ad errori legati ad un uso non corretto dei farmaci. Un altro studio realizzato in 1116 ospedali statunitensi nel 2001 ha evidenziato che gli errori in terapia si verificano nel 5% circa dei pazienti ricoverati in un anno. Un’indagine recente condotta negli USA ha mostrato che la maggior parte degli eventi avversi attribuibile ad errori in terapia si verifica nella prescrizione e interessa farmaci ipogligemizzanti (28,7%), cardiovascolari (18,6), anticoagulanti (18,6) e diuretici (10,1%). Come riportato dalla “Raccomandazione per la prevenzione della morte, coma o grave danno derivati da errore in terapia farmacologica” pubblicata a cura del Ministero della Salute nel 2008, l’errore di prescrizione può riguardare sia la decisione di prescrivere un farmaco da parte del medico (in base a diagnosi, dati raccolti sul paziente, indicazioni, controindicazioni, terapie concomitanti, efficacia terapeutica e tollerabilità del farmaco), sia il processo di scrittura della prescrizione (qualità e completezza delle informazioni essenziali). L’atto della prescrizione da parte del medico può essere influenzato da vuoti di memoria, dimenticanze dovute ad interruzioni frequenti, fretta, stress e fatica o incompleta conoscenza dei farmaci e del paziente.

In particolare le cause più comuni di errore nella fase di prescrizione sono rappresentate da:

prescrizioni al di fuori delle indicazioni terapeutiche o in caso di controindicazioni;

associazioni inappropriate per scarsa conoscenza di interazioni;

errata scelta della forma farmaceutica, dose, via di somministrazione, intervallo di somministrazione;

raccolta incompleta delle informazioni essenziali relative al paziente (nome, diagnosi, anamnesi clinica e farmacologica, allergie conosciute, terapie farmacologiche concomitanti, reazioni farmacogenetiche, ipersensibilità);

prescrizione illeggibile (cattiva grafia) o firma illeggibile;

duplicazione della terapia;

prescrizione incompleta o che genera confusione relativamente alla via di somministrazione, alla dose o alla forma farmaceutica;

prescrizione frettolosa ed imprecisa: si può confondere il dosaggio per virgole mal posizionate (ad esempio, digossina 0,05 mg/ml sciroppo invece di 0,5 mg/2ml fiale iniettabili);

uso ancora presente della prescrizione telefonica o verbale in caso d’urgenza, che può indurre confusione o fraintendimento (ad esempio, farmaci con nomi o suoni simili come Losec, Lasix, Laroxyl, Noroxin);

uso di acronimi e abbreviazioni non standardizzate (ad esempio, la lettera “U” usata come abbreviazione della parola “Unità” confusa con uno zero, un 4 o un 6;

utilizzo di istruzioni per l’uso in latino (ad esempio, la dicitura os scambiata per occhio o orecchio sinistro);

utilizzo di un’unità posologica errata (ad esempio, milligrammi invece di microgrammi).

In ultimo, le suddette raccomandazioni indicano che le prescrizioni verbali o telefoniche vanno evitate e, laddove presenti, devono essere limitate solamente a circostanze particolari e in ogni caso verificate immediatamente (ad esempio, facendo ripetere l’operatore). Tutto ciò comporta una sensazione di smarrimento e frustrazione nei pediatri di libera scelta che si sentono “indifesi” e schiacciati tra “necessità di curare” e “paura di incorrere in un procedimento penale e/o richiesta di risarcimento danni”.

Sono molteplici le fattispecie della vita quotidiana che conducono il medico specialista in Pediatra, Medicina generale o altrimenti specializzato a trasmettere una determinata prescrizione medica al paziente o ai suoi prossimi congiunti (ad esempio genitori del neonato, bambino o adolescente), per telefono o anche per il tramite di altri mezzi di comunicazione più moderni (posta elettronica). Tali condotte mediche implicano l’applicazione di più fattispecie giuridiche che, se non rispettate, possono comportare per il professionista il doversi difendere in un giudizio di responsabilità professionale medica in ambito civile, avverso la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, e/o penale, dall’eventuale imputazione di reato. Deve preliminarmente, allora, porsi una differenziazione tra la prescrizione medica in generale, oggetto specifico della presente trattazione, e la species ricetta medica che, invece, può considerarsi quale particolare prescrizione medica, ove le prestazioni prescritte sono parzialmente o totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Per ciò che concerne la ricetta medica risulta possibile trovare numerose definizioni nelle fonti più qualificate e svariate, tutte però accomunate da due importanti elementi giuridici: la forma scritta e la responsabilità del sanitario non solo nei confronti del paziente secondo le regole specialistiche dell’arte/scienza praticata e relative responsabilità in ambito civile e penale, ma anche verso lo Stato che paga le prestazioni. In ordine alla ricetta medica possono rilevarsi dei testi normativi (R.D. 30 settembre 1938, n. 1706, Regolamento per il Servizio Farmaceutico, all’art. 38 recita “(…) qualunque ricetta deve essere firmata da un medico chirurgo ‒ oggi anche medico odontoiatra ‒ o da un veterinario”) e giurisprudenza sulla valenza dell’atto prescrittivo (atto pubblico o mero certificato amministrativo), gli eventuali illeciti previsti, l’uso appropriato delle risorse e il rispetto dei principi di efficacia a cui deve tendere l’attività prescrittiva del medico. Questo perché anche attraverso l’attività di pagamento parziale o totale delle prestazioni garantite dal SSN e, più in generale, attraverso tutta l’attività medica garantita dal SSN, lo Stato assicura ai cittadini un importante diritto sociale, costituzionalmente garantito, qual è il diritto alla salute.

Per il soddisfacimento del diritto alla salute e di tutti gli altri diritti sociali (diritti che assicurano le prestazioni pubbliche necessarie per un’esistenza civile e dignitosa, per esempio salute, istruzione, famiglia), differentemente da quanto avviene per i diritti individuali, lo Stato deve impiegare ingenti risorse pubbliche.1 Ben si comprende, dunque, l’esigenza insita in quasi tutti gli ordinamenti democratici di contemperare due esigenze prioritarie per ogni Stato: da un lato garantire il diritto alla salute, dall’altro ridurre le risorse economiche eliminando gli sprechi o abusi.




 

Con riguardo alla prescrizione medica, differentemente dalla ricetta medica, non vi sono molte definizioni, né particolari riferimenti normativi e giurisprudenziali. Il Codice di deontologia medica, all’art. 13, può essere d’aiuto nella misura in cui stabilisce che “(…) la prescrizione diagnostico-terapeutica è una diretta e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità. Le prescrizioni diagnostico-terapeutiche devono fondarsi su aggiornate e validate acquisizioni tecnico-scientifiche, conseguire l’uso appropriato delle risorse e rispettare i principi di efficacia, di sicurezza e di equità”. Le varie definizioni presenti nello scibile dottrinale denotano, comunque, la difficoltà di un’univoca ed esaustiva definizione di prescrizione medica. Cercando di approntare una definizione, evidenziandone i caratteri costitutivi e finalistici intrinseci all’atto stesso, si può definire la prescrizione medica come l’indicazione del medico al paziente circa il comportamento o terapia da attuare, ivi compresi naturalmente i farmaci da assumere, le cure e ogni altro trattamento, al fine di trattare il problema di salute riscontrato secondo le regole (protocolli e linee guida) della scienza medica. In prima analisi, la forma scritta ‒ che, invece, si è vista essere elemento necessario e costitutivo della ricetta medica, così come della maggior parte delle prescrizioni mediche ‒ non risulta comunque quale elemento necessario e costitutivo di ogni prescrizione medica, potendovi essere legittima prescrizione, ovvero eseguita secondo diligenza qualificata del professionista, anche per il tramite di mezzi di comunicazione. Emergono, dunque, almeno due importanti questioni giuridiche inerenti la prescrizione medica in generale, fondamentali in qualunque attività medica e raffiguranti due degli obblighi del medico: l’indicazione fornita dal medico secondo la diligenza qualificata del professionista e il rispetto delle regole della scienza praticata. La prescrizione medica è di certo una delle attività del medico. L’attività medica, ex lege, deve essere svolta dal professionista con diligenza professionale e, come aggiunge consolidata giurisprudenza, nella conoscenza e rispetto delle regole di settore. Il combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone al medico, o altro professionista, una diligenza superiore a quella comune del buon padre di famiglia, definita appunto diligenza professionale o qualificata, adeguata all’attività svolta e alle relative modalità di esecuzione. Tale diligenza qualificata, anche secondo la giurisprudenza, impone, a sua volta, la conoscenza e l’osservanza delle regole del settore (linee guida e protocolli di settore) che, appunto, sono l’insieme delle regole per ogni ambito della scienza medica definite, raccolte e apprezzate dalla dottrina e dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Il loro rispetto limita considerevolmente la scelta operativa compiuta dal medico al quale, comunque, secondo la propria diligenza professionale, viene consentito dalla legge di discostarsene, motivando in ragione della salute del paziente. Ne discende che il vero criterio di giudizio di qualsiasi attività medica è la rispondenza della stessa ad un’adeguata diligenza professionale che, fino a prova contraria, in ragione della salute del paziente, presuppone l’applicazione delle regole della scienza medica. Orbene, secondo criteri di normale diligenza medica, linee guida e protocolli di settore, l’attività di prescrizione deve essere preceduta dalle analisi cliniche e diagnostiche condotte sul paziente, anche attraverso l’utilizzo di particolare strumentazione. Ciò implica che una prescrizione medica sarà legittima solo se preceduta dalle sopraindicate attività propedeutiche o, comunque, se adeguatamente disposta secondo le regole della diligenza qualificata di settore. Potrà dunque aversi, ritornando al caso specifico, una prescrizione medica per telefono o altro mezzo di comunicazione pienamente legittima, poiché in linea con la normale diligenza qualificata medica e le regole del settore, preceduta da dette attività preliminari o comunque adeguatamente predisposta. In tal senso si pensi, ad esempio, al medico che presa visione dei risultati degli accertamenti diagnostici correttamente espletati solo in un secondo momento, magari a breve o brevissima distanza di tempo, legittimamente dispone una prescrizione al paziente senza ritenere necessarie ulteriori indagini (senza visitarlo nuovamente, ad esempio). Ed ancora, a riprova della facoltà del medico di operare secondo la propria diligenza qualificata, si pensi al caso di comunicazioni telefoniche ricevute dal medico, magari di guardia medica o reperibile, che non ravvede connotati di serietà e urgenza per eseguire la visita domiciliare e legittimamente dispone una prescrizione medica via telefono o altro mezzo secondo la propria diligenza qualificata professionale. Al contrario, prosegue la stessa giurisprudenza, il medico commette il reato di omissione di atti d’ufficio se rifiuta una visita domiciliare che risulta poi realmente urgente. Per lo stesso principio di diritto potrà essere giudicato responsabile, agli effetti civili, o anche penali, il medico che dispone una prescrizione medica telefonicamente, in seguito rivelatesi errata, senza prima aver compiuto le attività preliminari dovute secondo la diligenza qualificata e le linee guida di settore. Sul punto, si ricorda la sentenza n. 4376/1999 con la quale la Corte di Cassazione, III Sez. Civ., condannava un medico per avere prescritto telefonicamente un farmaco (nella specie ossitocina, produttiva di effetti dannosi per il nascituro) in carenza di una previa visita medica, in tale caso necessaria. A ben vedere, dunque, anche in tema di prescrizioni mediche impartite via telefono ‒ come in tutti i casi di condotta sanitaria ‒ risulta rilevante, ai fini della legittimità del comportamento del medico, la normale diligenza qualificata richiesta ad un professionista nell’espletamento della propria professione e il rispetto delle best practice o discostamento dalle stesse motivato da particolari esigenze di salute del paziente.




Dal combinato di quanto esposto in precedenza e dall’obbligo per i pediatri di libera scelta alla reperibilità telefonica discendono alcune indicazioni utili alla pratica medica quotidiana. Una eventuale prescrizione telefonica non deve prescindere da alcuni punti fondamentali:

piena contezza dell’anamnesi del soggetto (sarebbe auspicabile astenersi da una prescrizione in mancanza di una sufficiente raccolta anamnestica);

analisi critica dei sintomi “riferiti”, al fine di una corretta diagnosi differenziale;

indagare su eventuali allergie e/o reazioni avverse a farmaci;

dopo una prescrizione telefonica, accertarsi della corretta ricezione delle informazioni, facendo ripetere, anche più volte, all’interlocutore il nome del farmaco, la via di somministrazione e la posologia;

indicare chiaramente, qualora la sintomatologia non migliorasse o si avverasse un suo peggioramento o insorgessero altri sintomi, di essere ricontattato prontamente, ovvero di recarsi presso la più vicina struttura ospedaliera.

Da parte dei colleghi si chiede sempre al medico legale cosa si possa e cosa non si possa fare, come comportarsi in determinate situazioni e, nello specifico, quali farmaci si possano prescrivere telefonicamente. È ovvio come sia impossibile elencare quali farmaci poter prescrivere o meno telefonicamente, ma certamente si possono fornire utili indicazioni. Da quanto esposto in precedenza sui punti fondamentali della prescrizione telefonica, si ritiene che (fatti salvi i requisiti già accennati: anamnesi del soggetto, anche ad eventuali allergie a farmaci, diagnosi differenziale, interazione con altri farmaci, e così via) si possano prescrivere telefonicamente farmaci maneggevoli, possibilmente già utilizzati dall’utente e, soprattutto, con limitati effetti collaterali (quali per esempio antipiretici, antibiotici).

Una notazione a parte va fatta sui nuovi mezzi di comunicazione, quali la e-mail o WhatsApp (per esempio invio di foto del minore per eventuale diagnosi di malattia esantematica). Se da un lato viene sollevato da più parti il problema della tutela della privacy sull’invio di documentazione sanitaria (quale lettera di dimissioni, prescrizione farmacologica, etc.) tramite e-mail, è da rilevare che la normativa vigente (Decreto Presidente della Repubblica del 11.02.2005 n. 68, Decreto Legislativo 185/2008 convertito con Legge 2/2009) ha dato pieno valore legale alla Posta elettronica certificata come strumento di trasmissione telematica e, a tal fine, basti pensare al vigente processo telematico. Si ritiene, pertanto, che la trasmissione di eventuale documentazione sanitaria tramite PEC (ovviamente inviata ad altro utente fornito di PEC) sia lecita ed auspicabile.

Alla luce delle considerazioni esposte in precedenza, si ritiene che la migliore tutela che un sanitario possa avere sia l’agire con diligenza e nel rispetto delle best practice, evitando atteggiamenti “difensivistici” (richieste di accertamenti strumentali e/o specialistici, spesso inutili, richieste di ricoveri impropri o senza alcuna indicazione clinica) che invece possono comportare profili di responsabilità professionale ●

Gli autori dichiarano di non avere

nessun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. G. Pitruzzella G, Bin R. Diritto costituzionale. Torino: Giappichelli, 2014.

2. Bona M. La responsabilità medica dopo il decreto Balduzzi. Roma: Maggioli, 2014.

3. Cassano G. Rapporto medico-paziente: responsabilità e risarcimento del danno. Roma: Maggioli, 2014.

4. Cassano G. Manuale del risarcimento per il danno alla persona. Roma: Maggioli, 2014.

5. Ferrara D, Romano MR, Scalici E, Peratoner L. Il pediatra al telefono: audit e formazione permanente. Medico e Bambino 2001;20:95-98.

6. Torrente A, Schlesinger P. Manuale di diritto privato. Milano: Giuffrè, 2014.

7. Regio Decreto 30 settembre 1938 n. 1706. Regolamento per il Servizio Farmaceutico.

8. Codice di Deontologia Medica, 2014. https://goo.gl/IO4b1n