La celiachia (malattia celiaca o MC) è una patologia immunomediata sistemica causata dal glutine e dalle prolamine correlate contenute in grano, orzo e segale. Si manifesta in individui geneticamente predisposti ed è caratterizzata da una combinazione variabile di manifestazioni cliniche dipendenti dal glutine, presenza di autoanticorpi specifici nel siero, positività per gli aplotipi HLA DQ2 e/o DQ8 ed enteropatia. Questa nuova definizione, proposta dal gruppo di lavoro della European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition (ESPGHAN), ha sostituito quella precedente basata sul concetto di MC come enteropatia glutine-dipendente, rispecchiando la radicale modifica dell’approccio diagnostico alla patologia. Infatti, mentre secondo i criteri diagnostici ESPGHAN del 1990 la diagnosi era posta sulla base del riscontro di un danno intestinale nei pazienti a dieta contenente glutine e la biopsia duodenale rappresentava una tappa ineludibile del processo diagnostico, grazie alla rilevanza acquisita dalla sierologia oggi è divenuto possibile evitare la biopsia in alcuni pazienti che soddisfino determinate condizioni, discusse dettagliatamente in seguito. La dieta senza glutine rappresenta a oggi l’unica possibilità terapeutica per questi pazienti, che devono eliminare per tutta la vita dalla loro dieta cereali contenenti glutine. È anche per questo che una corretta diagnosi è fondamentale.
La MC si può manifestare con una molteplicità di quadri clinici, da forme asintomatiche in cui il riscontro di positività anticorpale e danno duodenale consente la diagnosi (MC silente o subclinica) alle forme caratterizzate da segni e sintomi gastro-intestinali o extra-gastrointestinali (Tabella 1). La MC andrebbe sempre esclusa in bambini con segni e sintomi di malassorbimento quali diarrea cronica, “failure to thrive” e calo ponderale, ma sospettata in caso di stipsi cronica, dolori addominali cronici/ricorrenti, nausea e vomito, anoressia, distensione addominale. I sintomi e segni extra-intestinali sono rappresentati da bassa statura, ritardo puberale, amenorrea, stomatite aftosa ricorrente, dermatite erpetiforme. In altri casi, il sospetto viene posto sulla base del riscontro laboratoristico di anemia ferro-carenziale o rialzo degli enzimi epatici (AST-ALT). Necessitano inoltre approfondimento diagnostico per escludere la diagnosi di MC tutti quei pazienti a maggior rischio perché familiari di I grado di pazienti celiaci o perché affetti da patologie associate alla MC, come ad esempio i pazienti con diabete mellito tipo 1 o con altre patologie autoimmuni come la tiroidite o l’epatite autoimmune, e i pazienti con sindrome di Down, Turner o Williams o con deficit totale di IgA (Tabella 2).
Affinché si manifesti la risposta immunologica caratteristica della MC è necessaria una predisposizione genetica, in gran parte determinata dalla positività per gli aplotipi HLA di classe II DQ2 e/o DQ8. Tali molecole assumono un ruolo chiave nella presentazione dei peptidi della gliadina deamidati ai linfociti a livello della mucosa intestinale. Più del 90% dei pazienti celiaci risulta infatti positivo per il DQ2 e praticamente tutti i rimanenti per il DQ8, motivo per il quale la negatività per tali geni rende molto improbabile la diagnosi di MC. Viceversa la sola positività DQ2/8 non permette di porre diagnosi di MC, in quanto circa il 30% della popolazione caucasica è portatrice di tali aplotipi. La tipizzazione dell’HLA assume pertanto un ruolo diagnostico in alcune situazioni particolari:
1. nei pazienti con sospetto di MC che soddisfino i criteri capaci di rendere superflua l’esecuzione della biopsia duodenale (pazienti sintomatici con elevati titoli di IgA anti-transglutaminasi) nei quali la tipizzazione HLA viene utilizzata per la conferma diagnostica;
2. nei pazienti con condizioni associate a maggior rischio di MC, in cui la tipizzazione HLA dovrebbe rappresentare il primo step diagnostico, poiché una negatività per il DQ2/8 renderebbe inutile qualsiasi ulteriore approfondimento per MC;
3. in tutti quei pazienti che presentino una diagnosi dubbia (ad esempio nei casi con alterazioni istologiche ma negatività anticorpale), laddove la negatività per DQ2/8 permette di escludere la MC e indirizza la diagnosi verso altre cause di danno intestinale.
Oltre agli aplotipi HLA sono stati identificati circa 50 polimorfismi genici che sembrerebbero predisporre allo sviluppo di MC, tuttavia l’analisi di tali geni non assume al momento un ruolo diagnostico.
Ruolo dei test sierologici
La produzione di specifici anticorpi rappresenta una manifestazione precoce della MC, che precede lo sviluppo del danno intestinale e costituisce un biomarker caratteristico di tale patologia. Gli anticorpi utilizzati per la diagnosi di MC sono gli anti-transglutaminasi 2 (anti-TG2) di classe IgA, gli anti-endomisio (EMA) di classe IgA e gli anticorpi contro i peptidi deamidati della gliadina di classe IgA e IgG. Le IgA anti-TG2 rappresentano gli autoanticorpi dotati di maggiore sensibilità, motivo per il quale, nel sospetto di MC, la loro ricerca costituisce il primo step diagnostico. Bisogna però sottolineare che la positività delle IgA anti-TG2, sebbene a basso titolo, si può riscontrare in condizioni diverse dalla MC, come alcune patologie autoimmuni o nell’infezione da EBV; il riscontro di positività di IgA anti-TG2 a qualunque titolo, a causa dell’elevata specificità per MC, impone comunque un ulteriore approfondimento diagnostico. Per il dosaggio degli EMA viene utilizzato un test di immunofluorescenza. Questo ultimo, perché operatore dipendente, richiede rispetto ai test ELISA o RIA esperienza nell’interpretazione dei risultati; laddove positivo, però, rinforza la diagnosi perché dotato di maggiore specificità. Tale test identifica infatti gli anticorpi diretti contro gli epitopi extracellulari della transglutaminasi, caratteristici della MC e risulta negativo in quei casi in cui le IgA anti-TG2 siano prodotte in seguito a danno tissutale o infiammazione, come può accadere in altre patologie. Secondo gli algoritmi proposti dall’ESPGHAN la loro ricerca viene utilizzata nel caso si voglia evitare la biopsia nei pazienti sintomatici con elevato titolo di IgA anti-TG2, o può essere utilizzata nei pazienti con basso titolo di IgA anti-TG2 prima di decidere se sottoporre il paziente a biopsia duodenale.
Ultima categoria anticorpale associata alla MC è rappresentata dagli anticorpi rivolti verso i peptidi deamidati della gliadina (DGP). Tali anticorpi andrebbero dosati in quei pazienti nei quali vi è un forte sospetto clinico di MC, laddove si evidenzi una negatività di IgA anti-TG2 ed EMA, in particolare se si tratta di bambini di età <2 anni. Il dosaggio dei DGP IgG può inoltre essere utilizzato in quei pazienti nei quali non è noto il livello di IgA, come alternativa al dosaggio delle IgA totali o in caso di noto deficit di IgA. Tali anticorpi hanno sostituito i “vecchi” anticorpi anti-gliadina (AGA), non più utilizzati perché dotati di scarsa specificità. Nei pazienti con negatività dei test per la ricerca degli anticorpi IgA anti-TG2 o DGP, laddove i valori di IgA siano nella norma, è ragionevole escludere la diagnosi di MC. Tuttavia, nel valutare i risultati di tali test, va sottolineato che la positività sierica di tali anticorpi è glutine dipendente, motivo per il quale occorre verificare ‒ per escludere una falsa negatività ‒ che il soggetto assuma con la dieta una sufficiente quantità di glutine.
Ruolo della biopsia duodenale
Le nuove linee guida ESPGHAN del 2012, pur prevedendo in alcune condizioni la possibilità di non praticare la biopsia intestinale, dettano regole precise per l’esecuzione e l’interpretazione della stessa biopsia. Per la diagnosi istologica, potendosi trattare di lesioni “patchy” ‒ cioè di severità differente nelle diverse aree del duodeno ‒ è raccomandato l’utilizzo dell’esofago-gastro-duodenoscopia, con conseguente possibilità di raccogliere biopsie multiple, almeno 4 a livello della II o III porzione del duodeno e almeno 1 a livello del bulbo duodenale, che può rappresentare l’unica sede coinvolta dal danno intestinale. Viene pertanto sconsigliato il ruolo della biopsia mediante “capsula”, la quale sebbene meno invasiva, raccogliendo un solo frammento bioptico, rischia di non identificare lesioni “patchy”. La classificazione proposta dalle linee guida ESPGHAN per distinguere l’entità del danno intestinale è quella di Marsh, che va dal grado 1 (presenza di infiltrato infiammatorio con >25 linfociti intraepiteliali/100 cellule epiteliali), al grado 2 (iperplasia delle cripte con incrementato indice mitotico) al grado 3 a/b/c (presenza di atrofia dei villi di grado lieve/moderato/grave). Mentre il riscontro di lesione di grado 2-3, associato a positività anticorpale, è altamente predittivo di MC, lesioni di grado 1 sono scarsamente specifiche e non patognomoniche, potendosi riscontrare anche in una varietà di altre patologie. In questi casi metodiche diagnostiche aggiuntive per la diagnosi di MC sono la conta dei linfociti γδ intraepiteliali mediante immunoistochimica (la cui ricerca richiede tuttavia un frammento bioptico congelato in OCT) e la ricerca dei depositi di IgA anti-TG2 a livello mucosale in immunofluorescenza.
Le nuove linee guida ESPGHAN prevedono due algoritmi diagnostici: uno per i pazienti sintomatici, il secondo per quelli asintomatici, ovvero pazienti appartenenti a gruppi a rischio che si sottopongono a screening. Nei pazienti con sintomatologia indicativa di MC il primo test da eseguire è rappresentato dal dosaggio delle IgA anti-TG2, associato, se non è un dato già noto, al dosaggio delle IgA sieriche totali (o in alternativa al dosaggio dei DGP IgG). In caso di positività delle IgA anti-TG2 il successivo work-up diagnostico a cura del gastroenterologo pediatra dipende dal titolo delle IgA anti-TG2. Se i valori sono <10 volte i valori di riferimento (<10ULN), per la conferma diagnostica è necessario eseguire l’esame istologico delle biopsie duodenali. Viceversa nei pazienti con valori di IgA anti-TG2 superiori a 10 volte i valori di riferimento (>10ULN) il successivo step diagnostico prevede il dosaggio degli EMA e la tipizzazione dell’HLA, alla ricerca del DQ2/8. Dalle più recenti evidenze si deduce infatti che nei pazienti con valori elevati di IgA anti-TG2 e positività degli EMA vi è un’elevata probabilità di atrofia dei villi intestinali, con un valore predittivo positivo che si avvicina al 100%. In questi casi, acquisita la positività di EMA e HLA, il gastroenterologo pediatra può discutere con i genitori e con il paziente la possibilità di iniziare direttamente la dieta senza glutine senza praticare preliminarmente la biopsia intestinale, monitorando il miglioramento clinico e la progressiva negativizzazione del valore delle IgA anti-TG2 (Figura 1).
Nei pazienti asintomatici nei quali viene identificata una positività delle IgA anti-TG2, per la conferma diagnostica è invece sempre necessario ricorrere alla gastroduodenoscopia con biopsie duodenali, indipendentemente dal valore delle IgA anti-TG2 riscontrato. Nei pazienti con condizioni associate a maggior rischio di MC ‒ come evidenziato in precedenza ‒ il work-up diagnostico dovrebbe però partire dalla tipizzazione dell’HLA (Figura 2). Infatti solo nei pazienti con positività del DQ2 e/o DQ8 risulta ragionevole il monitoraggio del possibile sviluppo di MC mediante dosaggio periodico delle IgA anti-TG2.
Nei pazienti nei quali si identifica un deficit di IgA, la negatività delle IgA anti-TG2 non permette di escludere la MC. Pertanto, nel caso in cui il valore di IgA totali è <0,2 g/l, è necessario ricorrere al dosaggio degli anticorpi anti-TG2, EMA e DGP di classe IgG. Per la conferma diagnostica, a prescindere dal valore delle IgG anti-TG2 identificato, è necessario ricorrere alla biopsia duodenale. Occorre essere sempre sicuri della capacità del paziente di produrre IgA dal momento che il deficit di IgA è una delle condizioni associate alla MC: il 10% dei soggetti con deficit di IgA è affetto da MC.
Nei pazienti affetti da tale patologia, la MC spesso si presenta in forma sub-clinica, motivo per il quale è molto importante il monitoraggio sierologico di tali pazienti. Spesso le IgA antiTG2 sono presenti a basso titolo e i valori possono essere fluttuanti, motivo per il quale è opportuno riverificare la positività prima di procedere alla biopsia. Tuttavia la positività anche a titolo basso, accompagnata dalla positività degli EMA, impone l’esecuzione della biopsia intestinale. Nel caso dei pazienti con diabete mellito tipo 1 la tipizzazione HLA ha un valore limitato, giacché virtualmente tutti i pazienti sono HLA DQ2 e/o DQ8 positivi.
Questa condizione è definita dalla presenza degli autoanticorpi della MC in assenza di un’atrofia intestinale, in presenza o meno di clinica associata. In questi casi la decisione o meno di iniziare una dieta senza glutine va presa caso per caso e uno dei principali fattori che guidano tale decisione è la presenza o meno di sintomi associati, che possono migliorare o regredire dopo l’inizio della dieta senza glutine. Quindi, nonostante manchino linee guida precise, è generalmente accettato proporre la dieta senza glutine a pazienti sintomatici, mentre per quelli asintomatici ‒ considerato il rischio elevato di evoluzione verso un quadro di atrofia intestinale ‒ è indispensabile, laddove il paziente sia lasciato a dieta libera, un regolare e stretto follow-up clinico-laboratoristico ed eventualmente istologico.
Bambini di età inferiore a 2 anni
In questa fascia di età il dosaggio delle IgA anti-TG2 mostra una minore sensibilità per la diagnosi di MC. Circa un bambino celiaco su dieci non presenta aumento di questi anticorpi. In caso quindi di forte sospetto clinico e assenza di IgA anti-TG2 è opportuno procedere al dosaggio delle IgG/IgA DGP.
Problemi aperti e prospettive
Le nuove linee guida ESPGHAN rappresentano un’importante novità nella gestione della MC. A livello nazionale un tavolo di lavoro del Ministero della Salute sta procedendo, alla loro luce, ad una revisione delle linee guida nazionali con conseguenti ricadute sulle modalità di certificazione e prescrizione.
Da un punto di vista clinico-scientifico restano aperte una serie di questioni:
• la sierologia ha assunto una crescente rilevanza nell’iter diagnostico. La qualità dei test necessita però di essere perfezionata. La riproducibilità dei risultati con i diversi kit e la validità della soglia scelta pari a 10 volte i valori normali attendono di essere rivalutati.
• Esiste un problema di qualità delle biopsie (soprattutto legata al loro orientamento) e di riproducibilità dei referti preparati in base alla classificazione di Marsh. Pure da rivedere il valore delle biopsie praticate al bulbo duodenale.
• La reale necessità di avere i dati HLA e EMA per bypassare la biopsia duodenale deve essere ridiscussa sulla base dei dati che si stanno raccogliendo. Ciò vale anche per il mantenimento di due algoritmi separati per pazienti sintomatici e non. Nel caso poi davvero occorresse trattare in maniera diversa sintomatici e non il problema sorge relativamente al tipo di sintomi da considerare.
In conclusione, le nuove linee guida ESPGHAN non rappresentano un punto di arrivo ma un passaggio importante, frutto di una nuova concezione della malattia vista come malattia sistemica con forte impronta autoimmune. I dati degli studi prospettici in corso sono attesi con grande attenzione. Non è escluso che in un futuro non lontano si proceda ad un’ulteriore revisione delle attuali linee guida ●
Gli autori dichiarano di non avere
nessun conflitto di interesse.
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