I disordini funzionali
gastrointestinali nel bambino

Si tratta di disturbi frequenti, non correlati a patologia organica,
ma che compromettono la qualità di vita e hanno costi alti per il sistema sanitario.

Annamaria Staiano

Direttrice del Dipartimento Universitario
di Scienze Mediche Traslazionali,
Università Federico II, Napoli

1. Cosa si intende per disordini gastrointestinali e quale è la dimensione del problema nel bambino?

I disordini funzionali gastrointestinali (DFGI) sono stati definiti come una combinazione variabile di sintomi gastrointestinali, cronici o ricorrenti, non correlati a patologia organica. Sono associati ad una significativa morbilità e rappresentano oltre il 50% delle consultazioni nella pratica gastroenterologica pediatrica. Uno studio del 2015 ha stimato che la prevalenza mondiale del dolore addominale correlato ai DFGI è del 13,5% e il disturbo più frequente risulta essere in assoluto la sindrome del colon irritabile (SCI), il rigurgito il più frequente nei lattanti e la stipsi nei primi anni di vita. I DFGI, nonostante non rappresentino una patologia organica, compromettono la qualità di vita dei bambini e richiedono un alto costo del sistema sanitario nazionale.

2. Qual è la causa di questi disturbi?

L’etiopatogenesi dei DFGI non è ancora stata chiarita e non esiste nessun esame diagnostico che porti alla diagnosi definitiva. Sono stati però identificati alcuni fattori eziologici, quali l’ipersensibilità viscerale, le infezioni, fattori genetici, lo stress e le alterazioni del microbiota intestinale. Secondo le evidenze più recenti, la patogenesi dei DFGI si può spiegare secondo il concetto di modello biopsicosociale. Questa teoria presuppone che fattori genetici, socio-culturali e ambientali, soprattutto nelle prime epoche di vita, possano influenzare lo sviluppo psicosociale dell’individuo, la suscettibilità allo stress, lo stato psicologico, le abilità cognitive e lo stile di vita. Un ruolo chiave nella patogenesi di questi disturbi è certamente svolto dall’iperalgesia viscerale. Abbiamo condotto uno studio nel 2009 che evidenzia come i bambini con SCI abbiano rispetto ai controlli sani una soglia del dolore più bassa e uno score percettivo più alto, significativamente correlato ad una instabilità emotiva, con disturbi del sonno e ansia. È dimostrato che esiste un costante dialogo bidirezionale tra cervello e intestino, che sembra essere il meccanismo che lega lo stato psicoemozionale con la disfunzione gastrointestinale. Infine, recenti studi preclinici suggeriscono che cambiamenti nel microbiota intestinale possano influenzare i sistemi di segnalazione cerebrale correlati al dolore e al comportamento emotivo associato.

3. Quali sono i sintomi e come far diagnosi di DFGI?

I sintomi sono di varia natura: rigurgito, coliche, diarrea, stipsi e vomito nel bambino più piccolo, dolore addominale, nausea e dispepsia, aerofagia nel bambino più grande. In età scolare il dolore addominale rappresenta una delle problematiche di più comune riscontro e la maggior parte dei bambini con dolore addominale cronico è affetta da un DFGI. Nel corso degli anni è emersa la necessità di standardizzare i criteri diagnostici dei DFGI, limitando al minimo il ricorso a indagini strumentali e trasformando l’iter diagnostico da una diagnosi di esclusione a una diagnosi “in positivo”. Nel 2016 sono stati pubblicati gli ultimi criteri diagnostici, noti come criteri di Roma IV. Tutti i pediatri di famiglia dovrebbero conoscere questi criteri, per gestire in autonomia questi disturbi, inviando il paziente a un centro di terzo livello solo in caso di sintomi d’allarme, quali il calo ponderale, i sintomi notturni, il sangue nel vomito o nelle feci, febbre persistente, familiarità per malattie croniche, ecc.

4. Come si curano i bambini con DFGI?

La rassicurazione del paziente e della famiglia rappresenta il trattamento più efficace. È fondamentale che il pediatra rassicuri i genitori e i pazienti sul fatto che una diagnosi “in positivo” non equivale a una mancata diagnosi di patologia organica e li supporti nella comprensione della fisiopatologia del dolore viscerale e nella gestione dei sintomi. Le terapie più efficaci nella gestione del dolore addominale sono rappresentate dalla terapia cognitivo-comportamentale e dall’ipnoterapia, che però presentano diversi limiti, quali l’alto costo, il dispendio di tempo e la necessità di terapisti specializzati. Quando è evidente una significativa alterazione della qualità di vita, è necessaria una presa in carico neuropsichiatrica. Farmaci sintomatici, probiotici e diete, quali l’eliminazione temporanea delle proteine del latte vaccino nelle coliche del lattante o la dieta a basso contenuto di carboidrati a catena corta (FODMAPs) nella SCI, sono terapie di supporto con beneficio variabile a seconda delle situazioni, ma spesso da sole poco efficaci