Obesità in età pediatrica:

si può fare di più e meglio

Dall’approccio dietetico-restrittivo
a quello cognitivo-comportamentale
basato sull’educazione terapeutica alla famiglia.

Dante Ferrara1, Giovanni Moceri2,
Rita Tanas3, Giovanni Corsello2

1 Pediatra di Famiglia ASP 6,
Scuola di Specializzazione in Pediatria
Università degli Studi di Palermo

2 Dipartimento di Scienze
per la Promozione della Salute
e Materno Infantile ‘G. D’Alessandro’,
Università degli Studi di Palermo

3 Divisione di Pediatria
e di Adolescentologia, Azienda
Universitaria-Ospedaliera,
Arcispedale S. Anna, Ferrara







Caso Clinico Claudio ha avuto sempre un Body Mass Index (BMI) z-score superiore a 2, peggiorato perfino dopo una banale frattura, e l’impatto non felice con la scuola primaria. Riferiti dai genitori, squilibri nutrizionali derivanti da stili di vita errati: saltare la prima colazione, cena ipercalorica, spuntini e merende fuori orario, scarsa attività fisica, eccesso di ore trascorse davanti alla TV e al PC. Esami di laboratorio (glicemia, curva da carico di glucosio, profilo lipidico, insulinemia) nella
norma. È stato trattato per un paio di anni con un percorso dietetico restrittivo ‘classico’ (consigli, diari alimentari, diete ipocaloriche) senza alcun beneficio reale, con un alternarsi di successi e insuccessi, finché a 9 anni il pediatra di famiglia ha proposto un trattamento nuovo, basato sull’educazione terapeutica ‘senza dieta’, condotto insieme ad uno specialista (6 visite in 3 anni) e rivolto non solo al piccolo Claudio, ma centrato su tutto il nucleo familiare. Il bambino arriva arrabbiato alla prima visita, chiede di smettere la dieta ed essere libero di mangiare tutto ciò che vuole. Si propone alla famiglia un percorso ‘a piccoli passi’ senza indicazioni alimentari precise, pure richieste con grande insistenza dalla famiglia. È difficile spostare il focus dal cibo ad altro: proporre movimento piacevole insieme ai genitori, cura della derisione, suggerire il rispetto degli orari, non consumare i pasti davanti la televisione, uso di piatti più piccoli, invito ad assaporare e gustare quello che si mangia in un clima più disteso di condivisione del problema ‘peso’ da sostituire a quello precedente di lotta e ricerca del colpevole.

Epidemiologia

L’obesità è un problema globale di salute pubblica, la prevalenza è in continuo aumento in tutto il mondo, con dati preoccupanti soprattutto nei bambini, con tassi che vanno dal 20 al 40%, rappresentando una vera e propria epidemia. In Italia, secondo i report del Ministero della Salute,1 i bambini di 8–9 anni in sovrappeso sono il 20,9%, quelli con obesità il 9,8%, comprese le forme severe, che da sole sono il 2,2% (Figura 1). Percentuali queste tra le più elevate in Europa, anche se in lieve riduzione negli ultimi anni. È presente, inoltre, una forte variabilità regionale: Nord (prevalenza sovrappeso 18,0% e obesità 6,7%), Centro (21,0% e 8,5%) e Sud (25,3% e 15,5%) (Figura 2).




È stata rilevata una maggiore prevalenza nei figli di coppie italiane rispetto a quelle con entrambi i genitori stranieri, nei figli di genitori sovrappeso/obesi e con basso livello d’istruzione. Manca ancora a questa età una significativa differenza di genere.

È noto secondo il principio del ‘tracking’, che i bambini in sovrappeso diventano spesso adulti obesi con le conseguenti complicanze tanto più quanto più precoce è l’esordio: nel 28% dei bambini obesi è già presente la sindrome metabolica (associazione di ipertensione, ipertrigliceridemia, bassi valori di colesterolo HDL, insulino-resistenza, iperinsulinemia, ridotta tolleranza glucidica o diabete tipo 2 e predisposizione a patologie cardiovascolari). Altre complicanze note sono rappresentate da patologie ortopediche, asma, apnee notturne, pubertà precoce, ipogonadismo, e sintomi depressivi.2

Fattori di rischio

L’obesità è una vera e propria malattia cronica ad eziologia multifattoriale, caratterizzata dall’interazione tra fattori genetici e ambientali. Le singole mutazioni geniche responsabili dello sviluppo di obesità sono molto rare e generalmente conducono ad obesità precoce e grave, ma le varianti geniche che favoriscono l’obesità agendo su vari livelli del processo sono moltissime, a tutt’oggi ne sono state descritte forse un centinaio. Secondo la teoria del ‘genotipo risparmiatore’, nel corso dei millenni si sarebbero selezionati genotipi che permettevano la sopravvivenza in condizioni di disagio estremo dal punto di vista nutrizionale ed energetico; paradossalmente questi geni, o varianti geniche, rappresentano oggi, in un ambiente caratterizzato da un‘eccessiva offerta di cibo ad alta densità energetica, uno svantaggio selettivo. I fattori genetici hanno un forte impatto sulla predisposizione individuale (l’80% dei bambini con obesità ha un genitore con obesità e il 25–30% entrambi); la ricorrenza familiare non è legata in modo esclusivo al patrimonio genetico, ma dipende anche dall’esposizione a comuni fattori di rischio ambientali. La crescita intrauterina è guidata dal ‘programma’ contenuto nel proprio genoma, e anche condizionata dall’epigenetica, legata all’apporto di nutrienti (in eccesso o difetto) provenienti dalla madre e dall’esposizione a sostanze inquinanti ambientali, in particolare durante il primo trimestre di gravidanza, che modificano il setting ormonale e metabolico; infatti, sono a maggiore rischio di sviluppare obesità i neonati piccoli per l’età gestazionale (SGA), in particolare quelli che presentano un rapido recupero di crescita nei primi anni di vita, e i nati da madre obesa prima della gravidanza o fumatrice o diabetica.3 L’obiettivo di una sana alimentazione in gravidanza e nei primi 2 anni di vita è di fornire tutti i nutrienti necessari ad una crescita e sviluppo ottimali, senza creare un sovraccarico calorico, proteico e metabolico. Il latte materno è l’alimento ideale per il primo anno di vita, in grado di indurre un profilo di crescita più armonico rispetto a quello delle formule; i vantaggi nutrizionali sono rappresentati dal suo permettere una maggiore capacità di autoregolazione, minore intake proteico, migliore profilo lipidico, ridotta risposta insulinica. Altri fattori di rischio noti per obesità sono rappresentati da un basso livello socio-economico, elevato stress familiare, cattivo rapporto madre-bambino, disturbi del sonno, ridotta attività fisica, maggiore utilizzo di videogiochi e televisione, stile di vita sedentario, saltare la prima colazione, consumo di snack fuori pasto, uso di bevande zuccherate e/o gassate, durata dell’allattamento al seno inferiore ai dodici mesi, precoce introduzione di cibi solidi negli allattati artificialmente.4




Diagnosi

La definizione di sovrappeso e obesità in età infantile è ancora oggetto di un vivace dibattito scientifico ed ha come scopo principale la previsione del rischio di salute e la possibilità di confrontare popolazioni differenti. Il Body Mass Index (BMI, indice di Quetelet), espresso dal rapporto tra peso e altezza (kg/m2), rappresenta in maniera approssimativa, ma facile da rilevare, la quota adiposa dell’individuo: il BMI aumenta durante il primo anno di vita, tende a diminuire progressivamente fino a raggiungere il nadir tra i quattro e i sei anni, e infine risale (fase di rebound) con un incremento massimo in corrispondenza del picco di crescita puberale, mantenendosi poi quasi costante in età adulta. Uno dei difetti di questo indice risiede nell’incapacità di distinguere la massa grassa dalla magra. In età pediatrica non sono disponibili valori di BMI basati sul rischio di salute, ma ci si deve accontentare di curve dei centili relative alla distribuzione dei valori, secondo sesso ed età, della popolazione utilizzata per costruirle. Per eseguire valutazioni adeguate alle differenti caratteristiche della popolazione (genetiche, ambientali, socio-economiche, stili di vita e alimentari) si può fare riferimento alle curve di BMI degli studi italiani della SIEDP.5 Ma nel nostro paese si rischia di confrontare i nuovi parametri con una popolazione già sovrappeso,6 pertanto sempre più insistentemente oggi si suggeriscono le curve ‘ideali’ del World Health Organization (WHO),7,8 ed i cut-off proposti per una standardizzazione della diagnosi9 (Tabella 1). Il BMI percentile può essere espresso anche come z-score facilmente ricavabile con l’ausilio di un software gratuito scaricabile dal sito del WHO.

Altri parametri d’ausilio per la diagnosi di obesità sono la misura della circonferenza di vita e fianchi ed il rapporto vita/fianchi.10 Inoltre vanno sospettate ed escluse le rare forme di obesità secondaria, attraverso opportuni esami di laboratorio e test genetici.







Terapie tradizionali
e nuovi approcci terapeutici

L’approccio terapeutico classico è di tipo dietetico restrittivo: bambini e soprattutto adolescenti ricorrono a diete in maniera autonoma o prescritte da professionisti non adeguatamente formati, che oltre a risultare fallimentari, addirittura possono avere effetti negativi sul BMI ed aprire la strada a disturbi del comportamento alimentare.11 Negli ultimi anni è stato proposto un approccio cognitivo-comportamentale basato sull’educazione terapeutica centrato sulla famiglia.12 Questi nuovi programmi hanno la finalità di raggiungere una riduzione del peso, cioè del BMI z-score, attraverso cambiamenti dello stile di vita, realizzati partendo dal rispetto del paziente e della sua famiglia, proponendo un colloquio motivazionale, potenziando le competenze familiari, rendendo i piccoli pazienti ‘autonomi’, superando i sensi di colpa legati al peso e al fallimento delle terapie dietetiche intraprese, ed al cattivo rapporto con la propria immagine corporea. Questo percorso educativo cerca di superare la vergogna che blocca la famiglia davanti ad una patologia stigmatizzante, di affrontare e ridurre gli episodi di derisione e bullismo tanto comuni in ambito domestico, scolastico e persino sanitario, che fanno soffrire i bambini e i ragazzi, con lo scopo di modificare le rappresentazioni mentali, gli atteggiamenti e i comportamenti delle famiglie con obesità nei confronti degli alimenti e dell’attività motoria attraverso un processo di empowerment, cioè di crescita culturale e presa in carico consapevole ed autonoma delle loro scelte di vita e di salute. Il progetto di cura della durata di tre anni è incentrato sul sostegno alla self efficacy delle famiglie e dei piccoli pazienti per recuperare e aumentarne la motivazione a perseguire e raggiungere risultati ‘a piccoli passi’. In questo percorso i pediatri di famiglia assumono un ruolo strategico unico nel creare un’alleanza terapeutica con la famiglia e la scuola: solo loro infatti possono affrontare un tema così delicato con successo e proporre una cura con amore. Il percorso descritto è costituito da 4 tappe.13

La prima visita inizia come al solito con anamnesi ed esame obiettivo, con il fine di porre le basi di una buona relazione con i piccoli pazienti e la famiglia attraverso un atteggiamento de-colpevolizzante e pro-attivo e permettere una iniziale riflessione sui possibili comportamenti disfunzionali favorenti l’eccesso ponderale (Tabella 2).

L’esame obiettivo comprende la valutazione di parametri antropometrici compresi segnali di allarme quali smagliature, acantosis nigricans, irsutismo. Se ritenuto opportuno ed utile al paziente, si può avviare una valutazione di laboratorio e diagnostica per immagini.14 La visita è completata da domande aperte per permettere la narrazione terapeutica del problema delle famiglie, valutare la loro consapevolezza e far nascere motivazione e idee sul cosa fare, piuttosto che cercare le colpe commesse.

La seconda tappa è incentrata sulla lettura del libro Il Gioco delle perle e dei delfini15 per i bambini o Perle e delfini per ragazzi per gli adolescenti, che riassumono i contenuti del progetto di cura, non focalizzato su cibo e peso, ma allargato alla comunicazione familiare e in generale alla qualità di vita. Questi manuali di auto-aiuto-guidato, attraverso alcune schede da compilare, permettono la riflessione e facilitano la crescita dell’intero nucleo familiare.




La terza tappa prevede un incontro educativo di gruppo, della durata di due ore, a distanza di un mese circa dalla prima visita, con l‘obiettivo di migliorare le relazioni familiari e le competenze genitoriali, ovvero aumentare le conoscenze sulle cause dell’obesità, promuovere la ricerca del cambiamento per incrementare l’attività fisica riducendo le attività sedentarie, fornire spunti su comportamenti alimentari più sani e piacevoli e ridurre sensi di colpa e vergogna.

La quarta tappa (o visita di sostegno), a distanza di 1–2 mesi dalla prima, prevede la rivalutazione dei parametri antropometrici rilevati in precedenza al fine di porre l’attenzione sugli eventuali risultati ottenuti, sfruttando il rinforzo positivo, ma soprattutto mette in luce ogni piccolo cambiamento dello stile di vita realizzato, lo valuta in modo positivo e lo enfatizza, per favorirne il mantenimento nel tempo.

Il follow-up viene programmato a tre e sei mesi nel primo anno di cura. Nel secondo e terzo anno è proposta una rivalutazione personalizzata anche annuale, ricorrendo anche a consulenze telefoniche e mail per ridurre il drop-out.

Se necessario per realizzare il percorso educativo, dopo la prima visita, ci si può avvalere di altre figure professionali (nutrizionista, dietista, psicologo), formate all’educazione terapeutica e che ne condividano i principi.




Conclusioni

Fin dal concepimento, le abitudini nutrizionali del bambino sono condizionate dalla famiglia, tant’è che esiste una forte relazione tra comportamenti dei genitori e dei figli. Proprio l’aumentata disponibilità di cibo e la produzione intensiva di cibo industriale dopo l’ultimo dopoguerra hanno contribuito ad aumentare l’incidenza dell’obesità. La famiglia gioca dunque un ruolo cruciale: un’educazione nutrizionale adeguata ai tempi e all’ambiente obesogeno attuali, un sano esempio genitoriale sono fondamentali fin dai primi mesi di vita per lo sviluppo di buone abitudini e per la prevenzione e cura dell’obesità. L’obiettivo principale dei nuovi programmi è migliorare la forma fisica in piena autonomia e senza rigidi controlli, evitando l’ulteriore aumento ponderale e gli effetti negativi sulla salute e ottenendo salute psicofisica e qualità di vita migliori. Alla luce di tutto ciò si rende necessario realizzare una rete organizzativa con livelli d’intensità di cura crescente in base alla gravità dei soggetti con obesità ed alla presenza di complicanze correlate, attraverso la costituzione di team multidisciplinari dedicati con ruolo centrale del pediatra di famiglia; inoltre oggi più che mai sono prioritari ed inderogabili interventi di politica sanitaria finalizzati al contrasto della malattia.

E Claudio…

La storia di Claudio ha rivelato tanti piccoli problemi. Deriso dai compagni per il suo peso e la sua incoordinazione, dal padre che vorrebbe così spronarlo a dimagrire, e persino dalla sua sorellina più piccola che non vuole mangiare accanto a lui perché, dice, “fa schifo”. Claudio ha iniziato lentamente un suo percorso di cambiamento: accolto dai nuovi insegnanti che hanno scoperto le sue qualità affettive, da una squadra di lotta che lo ha accettato e valorizzato, finalmente accettato in famiglia per le sue tante doti e ora difeso dalla sorella da chiunque lo voglia deridere, pian piano ha riacquistato fiducia in se stesso ed ha accettato piccole modifiche dei comportamenti alimentari e motori che gli hanno permesso di raggiungere prima la stabilizzazione senza restrizione e poi il miglioramento del BMI z-score (Figura 3). Forse questi risultati possono apparire ‘modesti’, ma il miglioramento della qualità di vita dell’intera famiglia è davvero spettacolare. Ormai Claudio ha vinto con la sua squadra tutte le coppe possibili, anche quelle nazionali

Gli autori dichiarano di non avere

alcun conflitto di interesse.

Bibliografia

1. Gruppo OKkio alla salute. Variabilità sociodemografica nelle prevalenze di sovrappeso e obesità dei bambini in italia nel 2014. Epidemiol Prev 2015;39:64.

2. Valerio G, Licenziati MR, Manco M, et al.; Studio Obesità Infantile della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica. Health consequences of obesity in children and adolescents. Minerva Pediatr 2014;66:381-414.

3. Blake-Lamb TL, Locks LM, Perkins ME, Woo Baidal JA,
Cheng ER,Taveras EM.
Interventions for Childhood Obesity in the First 1,000 Days A Systematic Review. Am J Prev Med 2016;50:780-9.

4. Woo Baidal JA, Locks LM, Cheng ER, Blake-Lamb TL, Perkins ME, Taveras EM. Risk factors for childhood obesity in the first 1,000 Days. Am J Prev Med 2016;50:761-79.

5. Cacciari E , Milani S , Balsamo A , et al. Italian cross-sectional growth charts for height, weight and BMI (2 to 20 yr).) J Endocrinol Invest 2006;29:581-93.

6. Caroli M, Gianfreda V. Curve di crescita: quali scegliere e come leggerle. Area Pediatrica 2014;15:27-32.

7. World Health Organization Multicentre Growth Reference Study Group. WHO child growth Standards based on length/height, weight and age. Acta Paediatr 2006;(suppl 450):76-85.

8. De Onis M, Onyango AW, Borghi E, Siyam A, Nishida C, Siekmann J. Development of a WHO growth reference for school-aged children and adolescents. Bull World Health Organ 2007;85:660-7.

9. De Onis M, Lobstein T. Defining obesity risk status in the general childhood population: which cut-offs should we use? Int J Pediatr Obes 2010;5:458-60.

10. Nishtar S, Gluckman P, Armstrong T. Ending childhood obesity: a time for action. Lancet 2016;387:825-7.

11. Vallgårda S. Ethics dilemmas of early detection of obesity. Scand J Public Health 2016 Jun 2. [Epub ahead of print].

12. Wong EM, Cheng MM. Effects of motivational interviewing to promote weight loss in obese children. J Clin Nurs 2013;22:2519.

13. Tanas R. Perle e Delfini. Latina: Edizioni DrawUp, 2016.

14. Morris R, Feinstein R, Fisher M. Laboratory screening in overweight/obese adolescents: do the results change the management? Int J Adolesc Med Health 2016 Mar 16. [Epub ahead of print].

15. Tanas R. Il gioco delle perle e dei delfini. II edizione. Perle e delfini per ragazzi 2015. Editore L’Espresso http//ilmiolibro.it

16. Cremonese P, Picca M, Battino N. Parliamo di cibo. Riflessioni sul problema dell’eccesso di peso. Quaderni acp, 2014;21:90-1.